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REPORTAGE

«Ma perché vuole andare proprio a Kompong Chhnang?»

di Marco Barbonaglia

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21 novembre 2009

Quando chiedo informazioni sul mezzo migliore per raggiungere Kompong Chhnang, quasi tutti mi rispondono: " L'autobus". Poi, però, mi guardano perplessi e aggiungono: " Ma perché vuole andare proprio a Kompong Chhnang?".

La mia prossima tappa tende a spiazzare gli abitanti di Phnom Penh. Nella mappa mentale del cambogiano questo posto, evidentemente, è fuori da ogni itinerario turistico. Non riescono a capire che cosa voglia andare a fare questo occidentale in mezzo alla campagna, dove non c'è nessuna attrattiva e il tempo sembra essersi quasi fermato. Ad ogni modo, posso scegliere se muovermi con il pullman, con un taxi collettivo, cioè comprando un posto a sedere su di un'auto o un pick-up, oppure spendere 50/60 dollari (una cifra enorme da queste parti) e prendere un taxi tutto per me.

Mi fido e scelgo l'autobus. Gli spostamenti in Cambogia non sono semplici e, da Phnom Penh, ci sono soltanto due pullman per Kompong Chhnang che partono alle 8.30 e alle 9.30. Prendo il secondo e la compagnia che gestisce il servizio manda una navetta a prelevarmi all' hotel.
Alla stazione mi fanno salire su di un vecchio pullman malmesso, molto diverso da quello che ho preso a Siem Reap. La disparità nella qualità dei mezzi è del tutto normale in un paese che ha privatizzato ogni cosa. Paradossalmente, la Thailandia che è sempre stata l'alleato di ferro degli Stati Uniti, il baluardo capitalista in Indocina, oggi ha diversi servizi statali che funzionano, soprattutto nei trasporti. La Cambogia, governata dai Khmer Rossi e poi, per procura, dal Vietnam comunista, invece ha svenduto quasi tutto e si sta affrettando a completare l'opera. Bizzarrie della storia.
Nei sedili dietro al mio, sono seduti due giovani monaci buddhisti, con i quali scambio qualche parola. Questi ragazzi, avvolti nelle classiche vesti color zafferano, sono sempre contenti di parlare con gli stranieri così possono far pratica con l'inglese. Per i turisti, d'altra parte, è un ottimo modo per entrare in contatto con la popolazione locale perché nei monaci trovano persone gentili, sorridenti e affidabili.

Intanto, una volta abbandonata la periferia della capitale, dal finestrino vedo scorrere lentamente il dolce paesaggio della campagna cambogiana. Ma il viaggio dura poco e, in un paio d'ore, arrivo a destinazione. L'autobus mi scarica in una grande piazza vicino ad uno dei tanti monumenti dell'amicizia cambogiano-vietnamita che risalgono agli anni del governo voluto da Hanoi.

Ad attendermi c'è un pick-up con le insegne di Cesvi, dal quale scende Marco Landi. Sorriso aperto, sguardo attento e atteggiamento cordiale, è lui il responsabile del progetto portato avanti dell'Ong italiana in Cambogia. Da sette anni vive in questo Paese che conosce benissimo tanto che parla perfino il Khmer. Kompong Chhnang, lo vedo subito, è diversa da ogni altro luogo nel quale sono stato finora. Non ci sono turisti, non si vedono file di guesthouse, non si viene incalzati dagli onnipresenti conducenti di tuk-tuk. Invece dei ristoranti vietnamiti, thailandesi, indiani, ci sono bancarelle ovunque o locali spogli con quattro tavoli e qualche pentola sul fuoco. Nessuno di questi posti ha l'insegna con la scritta "Cucina Khmer" . Sarebbe inutile. E che altra cucina dovrebbe esserci?
Kompong Chhnang è una tranquilla cittadina di provincia con 40mila abitanti, un altro mondo rispetto a Phnom Penh e Siem Reap. E' la vera Cambogia, il volto più autentico di una nazione nella quale la maggior parte della popolazione vive ancora nelle campagne.

Tra poco potrò vedere ancora meglio questo aspetto del Paese, accompagnando Marco in un villaggio a mezz'ora circa dalla sede di Cesvi. Per questo, dopo che ho posato lo zaino in albergo, saliamo su di un fuoristrada pilotato da Savoy. Espertissima guida dello staff, con le tipiche fattezze del Khmer: scuro di pelle, zigomi alti, lineamenti pronunciati. Mi racconta che ha lavorato per l'Onu ai tempi della missione Untac. Di questa zona del Paese, lui conosce ogni angolo, ogni strada, anche i sentieri più sperduti e mi accorgo che tutti, ovunque, lo salutano.
Mentre Savoy fa correre il mezzo sulle strade sterrate, mi perdo ad ammirare il paesaggio incontaminato, di un verde intenso che si accende all'improvviso ogni volta che il sole fa capolino. La stagione delle piogge ripaga in questo modo il viaggiatore delle secchiate d'acqua che si prende regolarmente in testa. Solo in questo periodo dell'anno, mi spiega Marco, i colori sono così vividi, nella stagione secca il paesaggio è polveroso, bruciato dal calore del sole.

Mentre incomincia a cadere una pioggerella delicata, arriviamo alla scuola del villaggio. All'aperto, sotto una tettoia, i ragazzi sono seduti con le loro camice bianche e i pantaloni scuri che assistono alla lezione. L'intervento principale di Cesvi è quello di aiutare nella prevenzione della malattie a trasmissione sessuale che, qui, sono molto diffuse. Attraverso la formazione degli insegnanti, per esempio, l'Ong promuove dei seminari e dei corsi che informano i ragazzi e li aiutano a proteggersi.

  CONTINUA ...»

21 novembre 2009
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