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Il 6 maggio può segnare la fine del bipartitismo

di Roberto D'Alimonte

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24 aprile 2010

Non è la prima volta che la Gran Bretagna corre il rischio di un esito elettorale senza una maggioranza assoluta di seggi a favore di uno dei due grandi partiti. Senza andare troppo indietro nel tempo di questo rischio si era discusso apertamente anche prima delle elezioni del 2005 vinte per la terza volta consecutiva da Tony Blair. Anche allora, come oggi, né i conservatori né i laburisti risultavano nettamente favoriti mentre i liberaldemocratici erano in ascesa. Vinsero i laburisti che col 35% dei voti riuscirono ad aggiudicarsi il 55% dei seggi.
Fu un successo straordinario nel senso letterale del termine. Dalla fine della seconda guerra mondiale non era mai successo che un partito riuscisse ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi con una maggioranza relativa di voti così esigua. Anzi, dal 1945 non era mai successo che uno dei due partiti maggiori ottenesse una percentuale di voti tanto bassa. Prima di Blair era stato il laburista Harold Wilson nelle due elezioni svoltesi nel 1974 a scendere sotto la soglia del 40% dei voti: nelle prime ebbe il 37,1% e non ottenne la maggioranza assoluta dei seggi; Nelle seconde, tenute nello stesso anno a pochi mesi di distanza, non riuscì di nuovo a superare la soglia del 40% dei voti ma seppur di poco conquistò la maggioranza dei seggi. Prima del 1974 il partito vincente aveva sempre avuto una percentuale di voti superiore al 40% e spesso vicino al 50% anche se questa soglia non è mai stata superata né prima né dopo il 1974.
Gli anni che vanno dal 1945 al 1970 sono gli anni d'oro del bipolarismo inglese. In questo periodo assetto bipolare della competizione e formato bipartitico tendono a coincidere. Laburisti e conservatori raccolgono insieme dall'87 al 97% dei voti e la quasi totalità dei seggi. L'alternanza diventa una modalità normale di funzionamento del sistema. Il ruolo del sistema elettorale maggioritario è importante perché assicura la stabilità dei governi trasformando minoranze di voti in maggioranze di seggi ma senza effetti distorsivi pesanti.
Poi il meccanismo si inceppa. Le elezioni del 1974 segnano uno spartiacque tra due diverse fasi del bipolarismo britannico. Quelle furono le sole elezioni del dopoguerra in cui nessuno dei due partiti riuscì ad avere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Furono anche le sole elezioni del dopoguerra in cui il partito con meno voti - il Labour - ottenne più seggi. Infatti i conservatori ottennero il 37,8% dei voti contro il 37,1% dei rivali.
Solo con l'avvento di Margaret Thatcher il sistema elettorale tornò a garantire la stabilità dei governi. Ma lo fece "fabbricando" maggioranze di seggi partendo da percentuali di voti più basse del periodo pre-1974. Questo vale sia nella fase di predominio dei conservatori, dal 1979 al 1992, che in quella di predominio dei laburisti, dal 1997 al 2005. La percentuale di voti più alta ottenuta dalla Thatcher fu il 43,9 nel 1979, quella di Blair il 43,3% nel 1997. Le differenze tra percentuali di voti e di seggi del partito vincente diventano consistenti. Il record si toccò nelle elezioni vinte da Blair nel 2001 quando con il 40,7% dei voti il Labour ottenne il 62,5% dei seggi. Nel 2005 il fenomeno si è ripetuto più o meno allo stesso modo ma fece più scalpore perché Blair, come ricordato, ebbe solo il 35,3% dei voti.
La ragione di fondo delle crescenti distorsioni prodotte dal sistema elettorale sta nell'indebolimento dei due partiti maggiori e nella crescita del "terzo incomodo", il partito liberal-democratico. Con i liberaldemocratici sopra il 20% dei voti il sistema elettorale accentua il suo carattere distorsivo. E con il crescere della disrappresentatività del sistema si rafforza la domanda per una sua riforma in senso proporzionale.
Da questo punto di vista le elezioni del 6 maggio potrebbero di nuovo rappresentare uno spartiacque. L'equilibrio tra i tre partiti e l'incertezza sull'esito le fa assomigliare a quelle del 1974. Ma rispetto ad allora ci sono due differenze importanti. I laburisti hanno migliorato la distribuzione territoriale del loro voto e sono in condizione, come nel 2005, di ottenere una maggioranza di seggi con una percentuale di voti sotto il 40 per cento.
Ma anche i liberali hanno affinato le loro strategie elettorali, concentrando i loro sforzi sui collegi marginali sono in condizione di strappare più seggi a laburisti e conservatori. Più ai primi che ai secondi. Dal loro successo relativo dipenderà la formazione o meno di un governo di maggioranza.

24 aprile 2010
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