Dal summit di Copenaghen potrebbe uscire – e su questo si gioca una parte dello scontro che blocca il negoziato – un organismo internazionale di controllo dei fondi e dei progetti finanziati. E la partita si sposta sul piano della competitività, dei divari che possono diventare distorsioni di mercato.
I paesi industrializzati propongono ai paesi poveri finanziamenti per aiutarli a ridurre le emissioni di anidride carbonica con un trasferimento di tecnologie e con la cooperazione dei progetti a basso impatto ambientale. Ma uno dei punti di divisione al negoziato Cop15 in corso a Copenaghen è proprio sui finanziamenti. Meglio: sulla gestione dei finanziamenti.
Capogruppo degli oppositori è la Cina, la quale gradisce sì gli aiuti (sebbene sia la "fabbrica del mondo", la Cina è collocata tra i paesi non industrializzati), ma non vuole che chi gioca i suoi soldi abbia forme di controllo sulla gestione. Dietro la Cina ci sono i paesi poveri, ma anche quelli di nuova industrializzazione come il Brasile, il Messico o l'India.
I donatori non ci stanno. A cominciare dall'Europa. Le delegazioni europee hanno sottoposto l'erogazione di fondi ai paesi meno sviluppati alla condizione che vengano seguiti i normali parametri di misura, rendicontazione e verifica sull'utilizzo dei soldi. Come dice il ministro italiano dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, «noi europei vogliamo che, se gli impegni e i vincoli possano essere diversificati perché diverse sono le condizioni di ogni paese, le regole devono però valere nello stesso modo per tutti».
Le differenze di regole infatti possono generare un divario di competitività. Nel caso in cui – come chiedono molti paesi – venisse confermato e prolungato il Protocollo di Kyoto, il quale finché non aderiscono Usa e Cina (che insieme rappresentano più del 40% delle emissioni di anidride carbonica del mondo), i vincoli e gli obblighi andrebbero solamente ai paesi che hanno ratificato lo storico accordo sul clima. Tant'è che Canada, Giappone e Russia hanno già detto che non sono disponibili a un prolungamento del Protocollo di Kyoto – da loro ratificato – e che invece esigono il grande trattato proposto dall'Europa, che deve coinvolgere tutti i paesi con uguali regole.
Nel caso dei finanziamenti, la Cina e gli altri paesi del "no" hanno detto che non accetteranno soluzioni come la co-gestione dei fondi insieme con gli li èroga, né accetteranno i normali standard internazionali di verifica sul loro utilizzo. I delegati cinesi hanno promesso la massima trasparenza, si sono impegnati a un uso accortissimo ed efficiente dei fondi, a tutta la disponibilità. Ma nessuna ingerenza altrui.