Caro direttore, si dà per scontato che sul problema del cosiddetto testamento biologico, visto il pluralismo morale esistente, «la controversia può risolversi solo con l'attribuzione (per legge) al paziente del potere di decisione».
Questo è il punto di vista espresso da Luigi Manconi, nell'intervento pubblicato sul Sole 24 Ore del 24 settembre.
È vero il pluralismo morale, perché ciascuno ha la sua coscienza, ma va ricordato che la legge per definizione vale per tutti, perciò deve essere decisa con il libero voto di tutti. Sul tema fine vita, quindi, come sul suo inizio, a parte le libere idee morali di ciascuno, per una legge occorre una maggioranza di parlamentari, o di cittadini al referendum.
E qui è il punto: ci sono cittadini che liberamente e in coscienza pensano che una legge sul testamento biologico debba riconoscere senza condizioni la totale autonomia del soggetto in questione, ma ce ne sono altri che, sempre liberamente e in coscienza, pensano che così si correrebbe il rischio inevitabile di fornire un lasciapassare all'eutanasia vera e propria, e perciò pensano che se si fa una legge, questa – come scrivono i giornali – deve avere come paletti sia l'inequivocabile volontà del soggetto, sia una casistica che distingua tra accanimento terapeutico
ed eutanasia. Senza quei paletti, ogni legge appare inaccettabile, e nei fatti non avrà il loro consenso di "legislatori", in Parlamento o nel referendum. È centrale, allora, proprio la distinzione
di base tra accanimento terapeutico ed eutanasia: le convinzioni di coscienza sull'inaccettabilità del primo sono, credo, universali, mentre sulla seconda, come tale, c'è una differenza di fondo.
Tra le diverse concezioni etiche – forse è una specificità italiana, ma è reale – c'è a pieno diritto anche quella che genericamente si potrà chiamare cattolica, ma è condivisa anche da molti non cattolici, e non è condivisa da alcuni che nonostante questo si dicono cattolici. In concreto, per molti cittadini è chiaro che nutrizione e idratazione artificiali non sono come tali trattamenti sanitari straordinari e forzati. Nel caso esemplare di Eluana Englaro, in cui già manca la certezza documentata legalmente della sua volontà permanente, non è in atto un accanimento terapeutico. Eluana è viva, non soffre, è nutrita, accudita, assistita – lo dicono tutti – amorevolmente. Quindi la decisione di interrompere la sua nutrizione e idratazione guarda ad altre persone con la loro rispettabile sofferenza, non a lei. Non ne discuto la buona fede, ma la cosa è evidente. Diverso era invece il caso di Piergiorgio Welby, che in realtà poteva considerarsi accanimento terapeutico:
la respirazione forzata, le sofferenze insopportabili, la progressiva e inevitabile crescita della malattia di per sé mortale avrebbero potuto essere interrotte, con il supporto di terapie antidolore di accompagnamento,e questo senza scandalo.
Allora, le leggi si fanno democraticamente, mentre le visioni morali si decidono liberamente, ispirandosi ciascuno ai suoi principi di coscienza, religiosi o no che siano. Pare assurdo che molti pensino, e persino scrivano, che la legge di uno Stato laico e democratico debba per forza e sempre dire il contrario rispetto ai principi religiosi.
A deciderla, infatti, sarà la maggioranza dei votanti, ora in un senso ora in un altro, e così è stato per divorzio, aborto e anche fecondazione assistita. Così sarà, se necessario, anche per il testamento biologico.
E nell'attesa? Parlo per esperienza ripetuta negli anni: negli ospedali italiani l'accanimento terapeutico é già giustamente e liberamente rifiutato, mentre non ha corso legale l'eutanasia. Giusto così. Si vuole fare una nuova legge? Da una statistica dell'Istituto Italiano dei tumori, sui giornali del 4 novembre 2007, si apprende che negli ultimi anni, su 40mila malati terminali, solo quattro, quindi uno su 10mila, hanno chiesto esplicitamente di morire, mentre gli altri chiedevano cure antidolore e assistenza sino alla fine. Si faccia, dunque, se ci sono i numeri, una legge. Ma è proprio sicuro che serva? E a chi?
*Teologo e giornalista