Gli enti di previdenza privati rischiano di essere sempre più attratti verso il sistema pubblico. L'allarme è stato lanciato dal presidente della Cassa di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti Renzo Guffanti ieri durante l'incontro organizzato a Roma dall'Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili dedicato al rapporto Stato-Professione.
Il problema nasce da lontano, da quando cioè gli enti privati che curano la previdenza dei professionisti sono stati inseriti nell'elenco Istat degli enti di interesse pubblico (un elenco preparato a soli fini statistici per consentire il confronto con gli altri paesi dell'Unione europea). Da allora il legislatore, nel fare norme, leggi e regolamenti per le pubbliche amministrazioni rimanda all'elenco Istat includendo, quindi, anche le Casse.
«Il problema – spiega Guffanti – è che i politici spesso ci danno ragione, riconoscono la nostra natura privata e la nostra autonomia gestionale. Nelle varie norme che però vengono approvate (a volte in fretta e con voto di fiducia) questa nostra autonomia non viene rispettata».
Gli ultimi clamorosi casi riguardano la spending review che ha imposto alle Casse dei tagli ai costi amministrativi e l'obbligo di riversare quanto risparmiato allo Stato.
Ora il problema si ripresenta. Tutto si lega a una serie di norme - la legge 196/2009, il Dlgs 91/2011 e il Dm 27 marzo 2013 - e la circolare 35, emanata dal Mef il 22 agosto che impongono agli enti pubblici (Casse private incluse) di redigere entro l'anno (anche se l'approvazione può essere posticipata al 2014) budget triennali secondo le regole tipiche degli enti pubblici; che seguono logiche diverse da quelle delle istituzioni di diritto privato.
L'assemblea dei delegati della Cnpadc, che si è ritrovata lo scorso 28 novembre per approvare l'asset allocation e il bilancio di previsione del 2014, ha votato una mozione invitando il Consiglio di amministrazione ad attenersi alle norme previste dallo Statuto in tema di redazione di documenti contabili e amministrativi. In pratica l'assemblea, in questo modo, rifugge da tutti quegli adempimenti "nuovi" richiesti agli enti privati ma che non sono previsti dallo Statuto dell'ente stesso. L'autonomia finanziaria e organizzativa delle Casse, infatti, prevede che queste debbano rispettare le norme dello Statuto, votate prima dall'assemblea e, in seconda istanza, approvate dai ministeri vigilanti. «Ci troviamo in una situazione difficile - spiega Guffanti – dove le regole sono in contraddizione tra di loro».
Il timore che serpeggia già da tempo tra le Casse, soprattutto quelle più antiche, è che ora che hanno rimesso a posto i conti lo Stato, che le ha privatizzate nel 1994 con una situazione economico-finanziaria piuttosto pesante, voglia tornare a controllarle. L'intenzione è tutta da dimostrare, ma all'atto pratico la riforma Fornero, "obbligando" molte Casse a passare al sistema di calcolo contributivo, ha in effetti ridotto le distanze che esistevano tra il sistema pubblico e quello privato.
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