Bari. Dal nostro inviato
La spaccatura della professione che Maurizio De Tilla, presidente dell'Oua, fa drammaticamente emergere a margine dei lavori congressuali («140 mila avvocati sono allo stremo, più di 60mila non riescono neppure a pagarsi i contributi previdenziali») ha un confine più nitido di tutti gli altri: è il gap generazionale, che conta ormai ancora più di quello geografico. Per i 30enni, ma in molti casi anche un po'oltre, se il presente è incerto il futuro è più che mai un'incognita.
«Ho 32 anni, una grande determinazione e sono sorretta da una grande passione per questo lavoro – dice Mariella Sottile, siciliana da Barcellona Pozzo di Gotto – ma non ho remore né vergogna ad ammettere che anche quest'anno non raggiungerò il reddito minimo per la contribuzione alla cassa, anzi neppure per l'iscrizione. Non ce la faccio ancora, ma non demordo e vado avanti». Mai pensato ad alternative? «Quale, la mediazione? Assolutamente no, io voglio fare l'avvocato. La mediaconciliazione è un'altra cosa e non mi interessa». Rimedi per recuperare una generazione di professionisti in grande difficoltà? «Guardi, ho provato a mettermi in proprio, ma senza sostegno, cioè senza accesso al credito che nessuno è disposto a farti, è praticamente impossibile. Credo che il riconoscimento della possibilità di lavoro dipendente aiuterebbe molti giovani a uscire dal limbo».
Nella difficoltà di farsi largo in una professione ormai inflazionata al limite della capienza c'è chi ha scelto la green-line dell'avvocatura, nel vero senso della parola. «Ormai è chiaro che i giovani legali devono crearsi un mercato nuovo – dice Giovanna Suriano, 37 anni da Palmi – Io credo fermamente nel diritto ambientale, dove si devono formare nuove competenze. Per i giovani della mia generazione vedo nell'associazione una grande opportunità, ma fondata appunto sulle nuove specializzazioni. E poi bisogna puntare tutto sulle nuove tecnologie, nel processo e dentro gli studi». La mediazione? «Non ho seguito il corso, non mi interessa, l'avvocato per me è altra cosa», continua l'avvocato reggino. Quanto alla previdenza «pago regolarmente i contributi, per fortuna, ma ho dovuto rinunciare al riscatto del periodo universitario, che ha costi proibitivi».
Anche tra i giovani nessuno si nasconde che l'aumento sconsiderato della platea di professionisti è all'origine di molti problemi: «È chiaro che il numero enorme di iscritti ci rende deboli come categoria – dice Giovanni Marchio, avvocato del foro di Trani – ma al punto in cui siamo arrivati è indispensabile avere, e in fretta, una nuova legge professionale». Ma quale legge? Il progetto in attesa al Senato? «A questo punto dico qualsiasi legge, purché rinnovi quella vigente». Basterebbe questo? «Non lo so, ma è un passaggio fondamentale. Oggi i giovani non ce la fanno perché tra fisco e modifiche legislative, vedi la mediaconciliazione, ci si trova davanti a ostacoli insormontabili. Prenda il caso della mediazione, appunto: ce l'avevano presentata come un'opportunità professionale e di reddito, invece molti colleghi hanno solo pagato di tasca propria per la formazione senza trovare poi opportunità di reddito»
I dati ufficiali di Cassa forense dicono che soltanto l'11% degli iscritti alla previdenza dichiara un reddito superiore al tetto di 90.100 euro (erano il 15% dieci anni fa) e produce più del 50% dei redditi complessivi (era circa il 60% dieci anni fa). Circa il 40% dei legali dichiara redditi tra 18.500 e 90.000 euro. Il 22% degli avvocati (circa 43.600) dichiara redditi non superiori a 10.000 euro. All'appello manca circa il 24% degli iscritti all'albo.
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