«Più spazio ai giovani e al merito, meno spazio a rendite e privilegi, vere "tasse occulte" per i cittadini». Illustrando, le misure sulle liberalizzazioni, arrivate all'inzio dell'anno, Mario Monti aveva giustamente posto l'accento su una delle questioni cruciali per un Paese come il nostro, da sempre incline a salvaguardare i "già protetti" piuttosto che a offrire chance agli "esclusi". Il decreto liberalizzazioni completava, integrandolo e ampliandolo, anche il percorso di riforma delle professioni avviato, non senza difficoltà, dai precedenti Governi.
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Che cosa resta di questa dichiarata attenzione alle nuove generazioni? Meno di quanto sarebbe servito.
Partiamo da una considerazione. Una delle accuse più frequenti rivolte al sistema ordinistico è di "ostacolare l'ingresso dei giovani". I numeri, in realtà, non confermano interamente questa affermazione. Gli iscritti agli albi sono aumentanti in modo rilevante - almeno fino agli ultimi anni - e, per alcune categorie, il problema è paradossalmente l'eccessivo affollamento.
Eppure, il problema giovani, per le professioni, esiste. E rischia di diventare rilevante. Se si guardano i dati sugli iscritti alle casse previdenziali (fonte Adepp), che misurano i soggetti che realmente svolgono l'attività professionale, quelli che ne ricavano un reddito "minimo" e pagano i contributi, allora il discorso cambia. Più della metà delle professioni ha avuto in questi anni una diminuzione del numero di giovani iscritti: dai commercialisti agli avvocati, da notai ai geometri.
Certo, si dirà, c'è il calo demografico. E c'è la crisi, pesante per tutti, ingestibile per i giovani. Che - e lo dimostrano i dati del Miur sugli abilitati agli esami di Stato - sempre meno numerosi scelgono la prospettiva della libera professione.
Allora, il vero ostacolo all'accesso dei giovani alle professioni non è la "chiusura" degli Ordini. Non è solo il sistema delle regole. Il vero ostacolo, oggi reso più alto dalla recessione, è il mercato. È la difficoltà di trovare spazi, di imporsi nel confronto con i più anziani. In questo senso, le norme più chiare sulla pubblicità (anche se - va detto - molte categorie sono già ora allineate alle previsioni della legge); l'abolizione delle tariffe; l'arrivo (in tempi brevi) delle società tra professionisti; ma anche le regole sul tirocinio, più breve e - si spera - più efficace, non sono certo la bacchetta magica, ma possono offrire qualche spiraglio ai giovani. Soprattutto se i giovani sapranno cogliere le occasioni che da queste mini liberalizzazioni potrebbero derivare. Se le sapranno declinare in modo positivo per dare valore e qualità al proprio lavoro, puntando su specializzazione e modelli organizzativi più adeguati
ai tempi.
Ma serve ben altro, cose che - certo - la riforma non poteva imbarcare: aiuti, prestiti, agevolazioni, regimi di prelievo e contributi costruiti su misura (alcune Casse già prevedono regimi particolari riservati ai giovani), per chi è troppo debole per reggere il confronto da solo. Scelte coraggiose, che le categorie dovrebbero sostenere nel proprio interesse: per non rischiare di perdere per strada un capitale di nuove conoscenze indispensabile al loro stesso rinnovamento.
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