MILANO
Possono essere tagliate le annualità contributive al dottore commercialista che ha ricoperto per anni la carica di socio accomandatario in una sas. Per la Cassazione (sentenza n. 25526 della Sezione lavoro, ieri) è assolutamente legittima la pronuncia con la quale la Corte d'appello di Roma ha ritenuto di avallare l'annullamento deciso dalla Cassa previdenziale dei dottori commercialisti di 15 anni di contributi (dal 1983 al 1998) per incompatibilità con l'esercizio della professione di dottore commercialista. La colpa? L'essere stato nel corrispondente periodo parte di una società in accomandita semplice nella veste di socio.
La Cassazione, nell'affrontare il ricorso presentato dalla difesa del professionista, ricorda la persistenza di un contrasto in giurisprudenza sull'esistenza di un potere della cassa di annullare periodi contributivi durante i quali la professione è stata svolta in condizione di incompatibilità, sebbene questa incompatibilità non sia stata accertata e sanzionata dal Consiglio dell'ordine competente.
L'ultima pronuncia, in ordine di tempo (la n. 13583 del 2009), ha sposato la linea negativa, precisando che la verifica sull'iscrizione all'albo implica l'accertamento non solo dell'avvenuto svolgimento dell'esercizio della professione, ma anche la sua legittimità. Tuttavia una verifica di questo tenore esula dai poteri della Cassa di previdenza di categoria, dal momento che si tratta di un'attribuzione esclusiva del Consiglio dell'ordine che ha come conseguenza l'applicazione di regole procedurali precise con l'audizione dell'interessato e la possibilità di proporre ricorso al Consiglio nazionale con efficacia sospensiva della cancellazione. Inoltre, a mancare, nel caso dei dottori commercialisti, sono due disposizioni come quelle che riguardano avvocati e geometri, concordi nel sanzionare con l'inefficacia dell'iscrizione chi ha svolto la professione in condizione di incompatibilità in assenza dell'Ordine.
Tuttavia, per la Cassazione, l'orientamento da preferire è quello che attribuisce alla Cassa un potere ampio di intervento. Non si può cioè ritenere che la Cassa debba limitare l'indagine al solo svolgimento dell'attività professionale e non anche alla legittimità del suo svolgimento. In realtà l'articolo 20 della legge sulla Cassa dei dottori commercialisti (la n. 21 del 1986) attribuisce alla Cassa stessa un potere di controllo su «elementi rilevanti quanto all'iscrizione e alla contribuzione» e che l'eventuale mancata collaborazione da parte dell'interessato ha come conseguenza la sospensione del trattamento previdenziale.
Per la Cassazione sarebbe singolare assegnare alla Cassa la facoltà di esigere dall'iscritto notizie e documenti unicamente sul fatto storico dell'esercizio della professione e non anche sulla sua legittimità «ossia riconoscerle poteri autoritativi di natura oggettivamente amministrativa senza nel contempo pretendere che con essi si accerti che l'assicurato abbia maturato legittimamente il proprio credito pensionistico». Alla Corte non appare plausibile cioè che dalla ampia nozione di «elementi rilevanti quanto all'iscrizione» debbano essere esclusi proprio quelli di maggiore spessore sulla legittimità della conservazione dell'iscrizione. La Cassa deve invece potere intervenire per verificare periodicamente il legittimo esercizi della professione e non solo il dato formale dell'iscrizione all'Albo.
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