La Cassa di previdenza dei ragionieri mal digerisce la sentenza della Cassazione (13607/12) che ha "resuscitato" il criterio del pro-rata per le pensioni dell'ente (irretroattività delle modifiche peggiorative per gli iscritti), ribadendo l'illegittimità della riforma adottata dal 2004 dall'istituto previdenziale (si veda il Sole 24 Ore del 31 luglio) e annullando così gli effetti di stabilizzazione finanziaria dell'intervento.
«Da un punto di vista giuridico - afferma Paolo Saltarelli, presidente dell'ente di previdenza dei ragionieri - la sentenza non regge: la Suprema Corte ha dovuto inventarsi una figura giuridica nuova, una via di mezzo fra l'aspettativa alla pensione e il "diritto quesito". Lo ha dovuto fare perché la Corte costituzionale ha più volte posto alle aspettative legittime il limite di interessi superiori, in questo caso l'equilibrio del sistema e l'equità fra le generazioni, ed è pacifico che in materia di pensione il diritto è "quesito" solo al momento dell'attribuzione della pensione e non prima».
Per giustificare la sua decisione la Corte di Cassazione ha richiamato la garanzia dell'adeguatezza delle prestazioni prevista dall'articolo 38 della Costituzione. Secondo Saltarelli, però «la Suprema Corte non ha tenuto conto dell'uguaglianza dei cittadini disposta dall'articolo 3, uno dei Principi fondamentali a cui in nessun modo è consentito derogare, mentre l'articolo 38 fa parte dei Diritti e doveri della carta costituzionale». In questo modo, sottolineano i ragionieri , l'adeguatezza della prestazioni viene riservata a pochi – i pensionati fino al 2006 –, creando una disparità di trattamento con i molti futuri pensionati.
Nella sentenza la Cassazione si è anche rifatta al criterio sinallagmatico, in sostanza la corrispondenza tra prestazione e contribuzione. A questo proposito Saltarelli mette in chiaro i numeri del caso: «Il pensionato in causa – spiega – ha versato 102.396 euro di contributo soggettivo e, considerando anche quello integrativo, ha versato in tutto 175.018 euro di contributi, attualizzati al 2006. Finora ha riscosso 339.962 euro di pensione, il doppio di quanto ha versato. In base alla sua speranza di vita riscuoterà altri 963.967 euro per un totale di 1.303.929 euro: ossia 7,45 volte i contributi versati». In questa delicata fase economica, che va richiedendo sacrifici a pensionati e futuri tali (si pensi al passaggio obbligatorio al sistema di calcolo contributivo, al caso degli esodati, al contributo di solidarietà chiesto a chi già è in pensione), la sentenza della Cassazione può apparire anacronistica.
«È una situazione paradossale – conclude Saltarelli – la legge ci impone di ridurre le pensioni e la Cassazione ce lo vieta. La situazione sarebbe anche ridicola, se non dovesse ricadere sui giovani, che pagheranno contributi elevati per avere pensioni tutt'altro che dignitose, e alla fine potrebbe ricadere sulla collettività».
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La decisione
Sul Sole 24 Ore del 31 luglio l'esame della sentenza della Corte di cassazione che è tornata sulle regole applicabili per la determinazione della pensione che spetta agli iscritti alla Cassa previdenziale dei ragionieri