«Sull'impatto della riforma del mercato del lavoro stiamo raccogliendo le prime evidenze empiriche di impatto sui contratti e, in particolare, sui contratti a termine che si avviano alla scadenza». Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ospite ieri di un forum alla redazione del «Sole 24Ore» annuncia in primo intervento di «correzione in corsa» della riforma in vigore da meno di tre mesi, un ridisegno complessivo delle regole sulla flessibilità in entrata e in uscita, l'avvio dei nuovi ammortizzatori sociali e l'apprendistato che, dice il ministro «deve essere difeso nel suo insieme perché rappresenta la strada giusta per ridurre il più possibile il disallineamento del nostro mercato rispetto a quelli europei, anche in termini di produttività».
Ministro, lei parla di una raccolta di evidenze empiriche. Ma queste evidenze sono già abbastanza chiare. Sulla riforma del lavoro sono stati commessi degli errori nella parte che regola la flessibilità in entrata e sarebbe bene che questi venissero corretti. Abbiamo 400mila contratti a termine in scadenza, di cui il 40% nella Pa: la riforma del lavoro prevede che per il rinnovo serva un'interruzione di 60-90 giorni, ma così tanti lavoratori rischiano di essere espulsi dal mercato del lavoro. Le imprese e i lavoratori sono preoccupate. Non pensa che si debba intervenire subito?
Sui contratti a termine posso annunciare che stiamo pensando a una misura di adattamento sugli intervalli di attesa imposti tra un rinnovo e l'altro con l'obiettivo di ridurli il più possibile. Stiamo già lavorando a un decreto interministeriale da scrivere sulla base delle proposte finali che stiamo aspettando dalle parti sociali. L'ipotesi è di ridurre a un mese al massimo il termine di sospensione tra un rinnovo e l'altro. Gli uffici legislativi sono al lavoro per mettere a punto un allentamento responsabile della norma attuale.
Non pensate alla possibilità di estendere a tutte le imprese le deroghe adottate per le assunzioni a termine nelle start up?
No, quello non è possibile. Si produrrebbe una lacerazione del mercato del lavoro insopportabile. Abbiamo deciso per quelle aziende, che sono poche e davvero con un progetto innovativo, la possibilità di contratti a tempo determinato senza causale fino al limite massimo di 36 mesi, con la possibilità di una proroga di altri 12 per arrivare a coprire i 4 anni della start up. Oltre non si può andare.
E sulle partite Iva? Anche per questa parte di lavoro autonomo c'è una forte preoccupazione sull'impatto della riforma.
Se non ci fosse stata una diffusa presenza di false partite Iva non avremmo introdotto le norme che fanno scattare la presunzione di subordinazione. Per il Governo il lavoro autonomo è, se possibile, anche più importante in prospettiva rispetto al lavoro dipendente tradizionale. Proprio per questo occorre agire con grande attenzione e determinazione, sulla base del monitoraggio che stiamo avviando con criteri del tutto nuovi e basati su una valutazione scientifica dell'impatto delle singole misure adottate.
Oggi il Governo invia alle Camere il disegno di legge di stabilità. Molti contenuti stanno facendo discutere, soprattutto quelli che riguardano le fasce sociali più deboli.
Posso annunciare qui che nel testo non ci saranno più due misure, una scelta che ho concordato personalmente con il ministro Vittorio Grilli e il presidente Mario Monti. Non ci sarà più la tassazione dell'indennità di accompagnamento e il taglio del 50% sui permessi previsti dalla legge 104 per i disabili o la cura dei parenti affetti da handicap. Sappiamo bene che ci sono tanti abusi nel pubblico impiego e bisogna fare pulizia. Ma non si poteva tagliare così, sarebbe venuto meno l'intero valore sociale della legge di stabilità che, pure, con l'intervento sulle due prime aliquote Irpef lancia un segnale importante. Ci sarà anche un miglioramento sui meccanismi di detrazione e deduzione per le fasce sociali più deboli e verrà resa molto più graduale la tassazione Irpef sulle invalidità. Le politiche sociali hanno poche risorse e si deve lavorare con interventi di aggiustamento e di equità, che stiamo facendo con il ridisegno degli Isee, gli indicatori della situazione economica equivalente richiesto alle famiglie in condizioni di maggiore bisogno per regolarne l'accesso a prestazioni socio-assistenziali di carattere universale.
Sulla produttività è in corso un confronto tra sindacati e Confindustria. Il Governo ha esaurito il suo compito con il miliardo e seicento milioni che ha stanziato, per il 2013 e per il 2014, per la detassazione dei salari di produttività, nella legge di stabilità, o si può fare di più? E poi, avendo a disposizione 4-5 miliardi non era forse meglio spenderli per incentivare la produttività e agire sul cuneo fiscale, piuttosto che spenderli a pioggia sull'Irpef?
«Sono convinta che, negli anni passati, nel bene e nel male, per necessità più che per vocazione, molte imprese abbiano usato la via della flessibilità impropria come sostituto della svalutazione nei tempi in cui non era più possibile usare la svalutazione monetaria. Hanno cercato di recuperare competitività abbassando il costo del lavoro attraverso un impoverimento dei contratti. Noi dobbiamo convincere le imprese che valorizzare il contratto di lavoro, le relazioni di lavoro, il capitale umano degli occupati è la strada per aumentare la produttività del lavoro. Anche un lavoratore laureato può avere un capitale umano povero se non fa un buon matching con l'impresa in cui lavora. No, non abbiamo esaurito il nostro compito, perchè io non credo che la detassazione del salario di produttività in passato abbia funzionato bene. Avere a disposizione delle risorse è importante ma bisogna che queste risorse siano finalizzate bene, altrimenti equivale a dire: ti do un pezzo di salario detassato ma in maniera totalmente avulsa da risultati produttivi. Io non sono al corrente di studi i quali dimostrino che c'è una buona evidenza che la detassazione del salario di produttività ha funzionato. Dare dei soldi così è molto meno efficace, riesce molto meno a indirizzare le risorse sul risultato che vogliamo raggiungere, ovvero incentivare la produttività.
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