L'ingegnere deve pagare i contributi alla Cassa di previdenza, Inarcassa, anche sui redditi derivanti dalla carica di amministratore o sindaco di una società che si occupa di edilizia. Lo ha riaffermato la Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 5827/2013.
Peraltro i supremi giudici, che hanno accolto il ricorso di Inarcassa contro la pronuncia della Corte d'appello di Roma, ricordano che sul punto non c'è un orientamento condiviso. Neppure all'interno della stessa Cassazione.
Infatti, secondo un filone rigorista, l'obbligo contributivo alla Cassa di previdenza di categoria sorge solo per le attività riconducibili all'oggetto della professione, quelle che sono cioè elencate nell'ordinamento professionale. Tra le sentenze iscrivibili a questa impostazione la Corte di cassazione cita la n. 4057/2008 e la n. 11472/2010.
Invece, un'altra serie di sentenze segue un ragionamento "dinamico" in base al quale le professioni si sono dilatate oltre lo schema delineato nell'ordinamento professionale, magari vecchio di 70-80 anni. Il filo conduttore per decidere quali proventi si devono sottoporre a prelievo contributivo è costituito dal concetto di competenza professionale. Un'attività e dunque un reddito sono collegate al patrimonio di conoscenze proprio del professionista, dell'ingegnere nel caso specifico?
La risposta, questa volta, per la Cassazione è positiva e un ingegnere può ben "investire" le sue competenze professionali come amministratore di una società che opera nel settore edile.
Per i giudici della Suprema corte l'esclusione del l'obbligo contributivo è ammesso «solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile una connessione tra l'attività svolta e le conoscenze tipiche del professionista, in linea con quanto suggerito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 402 del 1991 (resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori)».
La Corte costituzionale aveva sottolineato che il prelievo «è collegato all'esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per la loro intrinseca connessione, ai contenuti dell'attività propria della libera professione».
Per la Corte di cassazione (che cita tra i precedenti la sentenza 14684/2012) non ci ci può accontentare, per decidere la questione, dell'elenco pedissequo delle attività contenute nell'ordinamento professionale.
Tra l'altro anche la tariffa, in modo lungimirante, ha previsto prestazioni professionali «retribuite con il sistema "a discrezione del professionista", che qualifica, come tali, una serie di attivià di consulenza e ricerca"». Di conseguenza, lo stesso criterio per gli onorari vale anche per «le prestazioni simili».
Il punto di partenza – come detto – è che il concetto di esercizio della professione va interpretato «tenendo conto dell'evoluzione subita nel mondo contemporaneo (rispetto agli anni a cui risale la normativa di "sistema" dettata per le varie libere professioni) dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali».
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