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Il meraviglioso controsenso del calcio

di Carlo Genta

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25 giugno 2008

Siamo tappezzeria azzurra al gran finale dell'euro-ballo austroungarico. Conviene rassegnarsi, sapendo bene che è giusto così. Guarderemo entrare gli altri, con le loro facce straniere, i loro colori e i loro sogni. Noi dietro le transenne. Abbiamo due possibilità, due modi per vivere queste notti di un'estate finalmente scoppiata: indifferenza o passione. Nel primo caso si obbedisce all'istinto, quello che riesce a mandarti fuori di testa anche per un Grecia-Svezia, finchè l'Italia è parte del gioco. Quando sei dentro anche tu, ti interessa tutto. Quando esci passa la spugna. Atteggiamento comprensibile per le signore in fila dal panettiere, che inseriscono altri argomenti di discussione all'ordine del giorno, in attesa di cominciare a parlare di tiro con l'arco e di canoa non appena saranno i giorni olimpici. Più difficile da capire in altri contesti. Ad esempio, non so se avete dato un occhiata alla prima pagina del giornale rosa di oggi, giorno della prima euro-semifinale. Per trovare un richiamo, bisogna scendere nell'angolo in basso a destra, accanto ai pensierini di Gene Gnocchi (su Adriano) e a "Supereroi, da Spiderman ai Fantastici 4". L'apertura è per il Ronaldihno dimenticato che torna a fare le fusa al Milan. Dove è l'errore? Da nessuna parte. Oggi il calcio, lo sport è questo. Triste ma vero. Anche vero il fatto che non tutti sono così. Questi Europei così belli hanno aperto gli occhi perfino agli americani. Pensate che l'altro giorno Sport Ilustrated è uscito con un numero che celebrava Euro 2008 come la più bella rassegna di calcio internazionale dal Mondiale del Messico '86, quando c'era, bastava e avanzava Maradona per avere l'impressione della storia che si scrive sotto ai tuoi occhi. Se piace agli americani, come possiamo noi che siamo tifosi di calcio di mestiere non essere rosi dalla curiosità di sapere come andrà a finire? Si tratta solo di trovare qualcuno per cui fare il tifo: in questo mica siamo americani, noi. Lo sport è sangue e arena, non intrattenimento. Chi scrive un'idea ce l'ha. La Germania è la Germania: come viaggiare in Mercedes. Certezza e confort, velocità alta, magari non brivido. La Turchia è baciata dalle stelle, l'avevamo capito quasi subito, quando avevano distrutto i sogni dei poveri svizzerotti. E' anche l'unica delle quattro che in fondo non merita di essere lì. Aveva giocato meglio la Croazia in quell'incredibile quarto di finale. Ma stiamo parlando di calcio, mica di sport. E il calcio è un meraviglioso controsenso. La Turchia è un viaggio in Vespa in Sardegna, stelle e sacco a pelo, falò e chitarra, passione di una notte, amore estivo. La Spagna invece è una decapottabile sulle strade della Costa Azzurra, lusso, potenza, stile e charme. La Spagna è bella e un po' arrogante, come i nuovi ricchi che spingono per entrare nel bel mondo, provando a levarsi di dosso il complesso di inferiorità con una doccia profumata. Aspetta una occasione, per dare un senso alle mille coppe vinte dai suoi club. Scegliete chi vi pare. Noi l'abbiamo già fatto. Forza Russia, alè alè. E vi spieghiamo perché.
1 – E' la squadra che gioca meglio a pallone. Dopo la Svezia dei gatti di marmo, l'altra sera ha distrutto l'Olanda a martellate. E chi pensa sia solo questione di gambe e corsa, ha capito poco. E' velocità, talento e organizzazione. La Russia è un'orchestra e il suo calcio è musica, resa preziosa dagli acuti di due o tre solisti dai nomi difficili e sconosciuti prima d'ora. Ma questo Europeo è bello anche perché ci ha fatto ritrovare il senso della scoperta.
2 – E' bellissima ma non è perfetta. La perfezione è noiosa. E' il piccolo difetto a rendere una bella donna irresistibile. Infatti anche la Russia riesce a vivere solo ballando sul filo del risultato: chiudere le partite non è cosa per lei. Occasioni da gol create a secchi, a cascata, onde di palloni fuori di un filo, di miracoli del portiere, di pali e traverse. E sui calci piazzati altrui sono ogni volta brividi bollenti, perché se avessero anche un Cannavaro diventerebbero perfetti. Dunque noiosi.
3 – Guus Hiddink merita una grande Coppa. Per la verità una l'ha anche già vinta, un secolo fa: la Coppa Campioni con il Psv Eindhoven nel 1988, prima che arrivasse il Milan pigliatutto. Poi la sua carriera ha preso altre strade, quelle delle missioni speciali. E ogni volta un successo. Parziale, si capisce. Ma lui è quello che libera i prigionieri nella giungla, non quello che governa il mondo. Interessante, ma calcisticamente ingiusto. Perché è uno dei migliori allenatori di questo pianeta, certamente il migliore nel rapporto qualità (della squadra) – prezzo (risultati). E allora qualcuno ci dovrà spiegare un giorno perché per Mourinho si può fare una rivoluzione, per Capello scomodare la Regina, per Mancini, Donadoni, Guardiola, Rijkaard, Van Basten, Schuster, Klinssman farsi un baffo di un'esperienza inesistente mettendogli subito in mano nazionali o squadre d'oro senza batter ciglio, mentre Hiddink parte con o zaino in spalla, tra l'indifferenza, verso i confini del mondo.
4 – Per rendere giustizia a Lobanoski. Fu il colonnello a creare prima a Kiev e poi sul rosso della CCCP una squadra fantastica che meritava maggiore fortuna, quando ai Mondiali '86 venne spedita fuori con dolo. Non avrebbe vinto, ma certamente avrebbe meritato di perdere per la bravura altrui, non per giochini sporchi.
5 – Ma volete mettere il carosello sulla Piazza Rossa? Abbiamo visto cadere il Muro con la gente pazza di gioia libera. Abbiamo visto venir giù i grattacieli e poi le statue di qualche dittatore. Abbiamo visto Paesi spaccarsi, altri arrivare a un soffio dalla pace. Sempre con il fiato sospeso e il cuore stretto. Sarebbe ora di appendere al muro della memoria un'istantanea nuova, di pura felicità ludica con la storia sullo sfondo. Anche soltanto per creare un ricordo nuovo: estate 2008, l'invasione delle bandiere e la rivoluzione dei sorrisi sotto il Cremlino.

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