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Italia battuta ai rigori nella calda notte di Vienna. Europeo finito, via alla rifondazione

dall'inviato Massimo Donaddio

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23 giugno 2008
La delusione di Daniele De Rossi a fine partita (LaPresse/Jonathan Moscrop)

VIENNA - Ce l'hanno fatta a invertire la forza della storia. Era la scommessa più grande per la Spagna: rompere l'incantesimo che da 88 anni vedeva le Furie Rosse sempre perdenti con gli Azzurri nei grandi tornei che contano. Questa volta ce l'hanno fatta i ragazzi del vecchio saggio Aragones, sono riusciti a imporre il loro gioco e hanno centrato l'appuntamento con il destino. Gli undici di Donadoni hanno tenuto fin che hanno potuto, e sono stati traditi ancora una volta dai calci di rigore.
Incredibile la passione che ci hanno messo i 12mila tifosi giunti all'Ernst Happel Stadion di una caldissima Vienna per incitare la Selecciòn: completamente sovrastati – pur essendo molti di più – i supporter italiani dal colore e dal calore dei sudditi di re Juan Carlos, presente alla stadio e trionfante con la regina Sofia, accanto a Michel Platini, presidente Uefa.

Mai come in questo quarto di finale la Spagna si è sentita così sicura dal primo minuto di vincere, prendendo immediatamente possesso del centrocampo, che non ha più lasciato per i 120 minuti di gara. Un possesso palla nettamente superiore, quello delle Furie Rosse, che ha impedito ai centrocampisti azzurri di impostare il gioco, costringendoli ad arretrare costantemente insieme alla difesa. La partita, insomma, è andata esattamente come voleva Aragones: con la Spagna padrona del campo e l'Italia a subire in difesa.
L'assenza di Pirlo e Gattuso si è sentita: è mancato del tutto il faro del centrocampo. Aquilani si è squagliato in un partita più grande di lui e De Rossi è quasi scomparso davanti alla difesa, a cercare di fare da filtro.
Unico punto fermo l'ultima linea azzurra, che ha fatto un lavoro egregio, respingendo in tutti i modi le incursioni e i tentativi spagnoli, comprese le diverse occasioni da gol che gli iberici hanno avuto, specie con Villa e Silva (incolori Torres, Xavi e Iniesta).

Eppure più di una grande difesa, vanto e condanna dell'Italia calcistica, non si può dire di avere visto: rinunciando completamente a prendere in mano il gioco a centrocampo, gli azzurri sono tornati – forse per necessità – alla vecchia scuola del "primo, non prenderle". Spaventati dalla forza del palleggio e dall'efficacia del gioco iberico non hanno minimamente pensato a organizzare il pressing e a spingere sulle ali.
Disperatamente solo nell'ultima fase della gara ci hanno provato, a partire dall'ingresso di Camoranesi, che ha più volte messo in difficoltà la difesa iberica, e poi con qualche sgroppata sulla fascia di Zambrotta. Ancora uguale a zero il contributo di Luca Toni, il grande assente di questi Europei, bomber nel Bayern e completamente a secco a Euro 2008.

Nonostante tutto, ancora una volta, alla fine, la lotteria dei rigori. E qui San Buffon non è bastato: una parata sul tiro di Guiza non è stata sufficiente. De Rossi – molto sotto tono rispetto al solito – e Di Natale, irretito dalla valanga di fischi dei sostenitori spagnoli – si sono fatti incantare da Iker Casillas. Questa volta è andata male.
Diciamo anche che passa la squadra che ha meritato di più, malgrado la fastidiosa abilità iberica nel ricercare il fallo in area di rigore e nella simulazione. Vizietto imparato da noi e, se possibile, migliorato assai. L'Italia vista ieri sera, completamente schiacciata in difesa, non può soddisfare i requisiti per una semifinale europea. Bisogna riconoscerlo. Vincere senza convincere, alla fine, non può essere la norma, e la dea bendata non può fare sempre straordinari.

Nella calda notte di Vienna, i facili entusiasmi dopo il superamento del primo turno sono venuti meno. La fiducia che Donadoni ha riposto nel blocco dei giocatori romanisti, o in Luca Toni, non ha pagato. Non è detto che con Pirlo e Gattuso, però, sarebe andata meglio. Se l'atteggiamento è costantemente di attesa, prima o poi la paghi. Certo, siamo usciti per i rigori. Il risultato sarebbe potuto essere l'opposto, ma gli Azzurri avrebbero meritato?

Per Donadoni è ormai il tempo dei bilanci. Al di là dei risultati e dell'impostazione della squadra, la serietà del tecnico non si può discutere, anche se la sua modestia, la mancanza di spavalderia e di apparente sicurezza hanno giocato sempre contro di lui, soprattutto a livello mediatico. Non si può vincere sempre, certo e forse un po' di appagamento dopo il Mondiale è anche naturale. La Nazionale, però, ha il dovere di ricostruire su nuove fondamenta. La difesa è più che promossa. I problemi sono venuti in fase di costruzione e di realizzazione soprattutto. Qui, forse, hanno giocato anche delle convocazioni non completamente convincenti (Inzaghi a casa, temutissimo da tutta Europa). Ma più di tutto c‘è qualcosa da cambiare anche nella cultura calcistica. Basta difesa e contropiede. Utopia? La Spagna dà a tutte le squadre d'Europa una bella lezione, indipendentemente da come concluderà l'Europeo. Vincere e convincere, il vecchio adagio è ancora valido. Quanto meno per divertirsi ancora con il calcio.

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