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Lanterne rosse / di Dario Ricci
 

Luci e ombre sul medagliere cinese

di Dario Ricci

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24 agosto 2008

PECHINO - Vittoria prevista, prevedibile preannunciata. E a fine Olimpiadi quella cinese nel medagliere generale diventa una vittoria confermata dai fatti. Vittoria nel numero di medaglie d'oro totale (che è poi quello che conta di più), successo netto ai danni dell'ex superpotenza americana: 51 a 36, con trionfi trovati nei bacini preventivati (tuffi, tennis tavolo, ginnastica, anche grazie a volte all'"aiutino" delle giurie) e in discipline finora estranee alla tradizione sportiva cinese (vedi il canottaggio, ad esempio).
Ma attenti a intonare il de profundis per lo sport a stelle strisce! Intanto, gli Stati Uniti hanno conquistato lo stesso numero di ori di Atene 2004 (36, appunto), ma rispetto a quattro anni fa hanno ulteriormente aumento il numero di medaglie vinte in totale, classifica in cui sono in testa anche a Pechino 2008 (110 a 100 sulla Cina, con un 36-38-36 per gli statunitensi e un 51-21-28 per i cinesi, che così arrivano al 100 tondo). In Grecia, la spedizione americana aveva conquistato 36 ori, 39 argenti e 27 bronzi (tot. 102), mentre la Cina aveva fatto un 32-17-14 (tot.63). Insomma, cinesi in crescita esponenziale, ma lo stato di salute generale di uno sport –solitamente misurato proprio dal numero totale delle medaglie olimpiche – ci dice che lo Zio Sam può ancora contare sui suoi ragazzi

Le cifre che celebrano il trionfo della Cina vanno quindi analizzate in controluce. E allora quella che ne emerge è una realtà più complessa e dinamica. Innanzitutto va detto che lo sport americano ha prodotto il fenomeno olimpico per eccellenza, cioè Michael Phelps, il nuotatore degli otto-ori-otto e dei sette-record del mondo-sette di quest'olimpiade. Talento naturale, certo, ma anche frutto di un lavoro di squadra, di gruppo, di comitato olimpico, di organizzazione colletiva (gli americani, ad esempio, che pure con la Nbc hanno imposto le finali del nuoto al mattino per questioni di prime-time televisivo, non hanno avuto problemi a organizzarsi in casa eventi di avvicinamento al mattino, per preparare al meglio i Giochi, infischiandosene degli eventuali mancati "passaggi" tv sui canali a stelle e strisce sulla strada verso Pechino).

E poi, se guardiamo ai risultati dei tornei di squadra, quella americana è stata una spedizione tra le più convincenti dell'intera storia dello sport a stelle e strisce: il Dream Team nel basket non ha mancato l'obiettivo (cosa prevedibile, vista la rosa a disposizione di coach K, ma non scontata, viste le recenti esperienze, anche e soprattutto a cinque cerchi), mentre la Cina dell'incerottato Yao Ming e del Deludente Yi Janlian ha recitato il ruolo di comparsa; nella pallavolo femminile grazie all'aiuto "cinese" della grande allenatrice Lang Ping, le americane hanno prima bruciato i sogni di gloria dell'Italia di Barbolini e poi spazzato via in semifinale proprio la Cina campione olimpica in carica; stessa storia tra gli uomini, dove Hoff, Millar e compagni hanno confermato il successo in casa dei brasiliani nella World League con un torneo pressoché perfetto. Era da Los Angeles 1984 che entrambi le formazioni (maschile e femminile) del volley Usa non disputavano la finale per l'oro di Olimpia, e dal 1992 entrambi le formazioni erano assenti dal podio.

Stessi ottimi risultati nella pallanuoto: le campionesse del mondo statunitensi sono state piegate solo in finale dalla sorprendente Olanda (che ai tiri di rigori aveva buttato fuori il Setterosa dal giro medaglie nei quarti); gli uomini – contro cui ha sbattuto anche il deludente Settebello – hanno meritato in acqua il diritto di contendere l'oro a una grande del waterpolo come l'Ungheria campione ad Atene, liquidando in semifinale un'altra grande storica come la Serbia. Tornei dove, al contrario, la Cina non ha quasi lasciato traccia (pur evidenziando una crescita significativa tra le donne, quinte ai danni di Di Mario e compagne, pur prive di motivazioni nella finalina dopo la cocente delusione subìta contro le tulipane). E nel calcio femminile, l'oro è andato proprio alle americane, tradizionalmente vincenti nel "soccer" in gonnella.

Insomma, senza negare l'evidenza di una Cina nuova superpotenza dello sport mondiale, vale la pena sottolineare che nell'individuazione del talento, nel lavoro sul singolo atleta, nella costruzione del singolo campione, il "modello cinese" ha dato risultati straordinari, frutto di almeno sette anni di reclutamento a tappeto in tutte le province dell'Impero e di una organizzazione scientifica e pragmatica nella formazione di questi talenti, sgrezzati e affinati proprio in vista di Pechino 2008.
Dove però questi grandi talenti devono essere inseriti in una squadra, in un contesto omogeneo, amalgamati in un gruppo unito capace di perseguire un unico scopo, con regole certe e chiare e metodologie di allenamento comuni, e con progetti tattici e di formazione necessariamente condivisi, beh, in questo caso la Cina segna ancora il passo. Sotto questo profilo, infatti la scuola del Dragone non si è dimostrata capace di formare quadri tecnico-dirigenziali all'altezza dei suoi talenti (almeno negli sport di squadra). A poco è servito affidare la guida tecnica delle squadre ad allenatori stranieri, poi spesso allontanati nell'imminenza dell'appuntamento olimpico (vedi il caso del serbo Djukovic sulla panchina dell'olimpica del calcio maschile) e sostituiti con grigi tecnici dell'apparato; né sembrano al momento dare risultati i numerosi "clinic" svolti da grandi tecnici stranieri in Cina, per formare i quadri tecnici locali. E poi, più in generale, laddove servono esperienza, duttilità, capacità tattiche, saggezza ed equilibrio nella gestione di un gruppo, i cinesi sembrano aver ancora molto da imparare: non basta infatti, applicare gli schemi gestionali dell'apparato burocratico per creare un gruppo vincente….

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