Più che una piscina quella che sta sotto le bolle del Water Cube è un idromassaggio d'acqua bollente. Più che nuotare lì si naviga, a suon di record del mondo che durano nemmeno giorni ma un pugno di minuti. Andate a vedere i 100 metri, le semifinali di oggi, con il chiacchierato francesone Bernard che fa 47"20 e subito dopo l'australiano Sullivan gli sbatte sul muso un 47"05.
Figuratevi una finale che il pallido Pippo Magnini guarderà, se ne avrà voglia, da bordo vasca, primo degli esclusi per 4 centesimi, ma non è nemmeno questo il punto: che il pesarese non ne avesse l'avevamo già capito dalla prima pessima batteria. Una piscina così nella storia dello sport non s'era mai vista. Per la verità al lordo delle armature galleggianti che questi motoscafi carenati si portano addosso. Ne parliamo dopo, perché ci preme di più far suonare le fanfare per Federica che finalmente fa il Phelps e non più il coniglio bagnato. Gestisce paura e pressione, dimostra a se stessa più che all'Italia come quell'alibi delle finali al mattino indigeribili fosse ridicolo frignarsi addosso (applauso a Castagnetti che lo ha smontato in venti secondi).
E allora ecco che la Pellegrini si infila addosso il ciondolo del sogno, lucidandolo a specchio col record del mondo bis, battendosi (1'54"82 contro 1'55"45 che aveva inchiostrato in batteria). Che bello vedere un'atleta con le palle, anche se si chiama Federica, è alta-bella-bionda e adesso pure Kobe Bryant che era a bordo vasca, rapito, ha detto che la vorrebbe tanto conoscere. Vincere da favoriti è la cosa più complicata che c'è. Ed è per questo che ogni santa mattina ci inginocchiamo letteralmente davanti a Mike Phelps.
Oggi ha fatto quattro e cinque nei 200 farfalla e nella 4x200. Inutile dire che sono stati altri due primati mondiali ridotti in cenere. Ma provate a mettervi nel suo costume. Tutta l'America, alla quale di norma del nuoto importa poco, lo guarda e lo aspetta al varco. I network hanno speso milioni di svalutati dollari e imposto la rivoluzione del programma olimpico del nuoto per mandarlo in tv in orari fruibili. Da ogni batteria dipende la sua vita, ma sul serio, perché gli sponsor sono disposti a coprirlo d'oro o a mollarlo per strada. Può diventare un'icona immortale, finire sui libri di scuola o essere dimenticato. Penserete: ma nella storia c'è già, quello vinto oggi nella staffetta è il suo undicesimo oro olimpico e nessun atleta c'era mai riuscito. Vero per tutti, non per gli americani: per tutti loro, ricchi e poveri, l'unica cosa che conta è il traguardo finale.
Deve vincerne otto di medaglie d'oro, non una di meno. Se si fermasse a sei come ad Atene sarebbe un fallimento. Sette sarebbe qualcosa di già visto con Mark Spitz e sapete cosa se ne fanno loro, gli americani di un record sono eguagliato. Come ha detto o scritto qualcuno, sarebbe solo il secondo uomo sulla luna e non il primo su Marte. Otto ori sono Marte e Mike non può sbagliare mai. Non poter sbagliare mai è una specie di condanna a morte insostenibile e lui ogni giorno si presenta più volte sul patibolo, si leva l'i-Pod dalle orecchie, si cala gli occhialini a specchio e senza muovere un muscolo della faccia, fa quello che deve: si qualifica e poi vince con il record.
Ci inchiniamo davanti a uno che non ha nulla di umano.
Quasi ci stavamo scordando dei costumi, la truffa del secolo. Nel nuoto questa è l'Olimpiade più bella e veloce di sempre. Lo sarebbe stata anche con lo slippino nero a vita bassa per gli uomini e il costume di Novella Calligaris per le donne. E invece le diavolerie tecnologiche ci hanno tolto un po' di gusto e ci lasceranno il dubbio di ciò che sarebbe stato senza. Questo è nuoto, non Formula Uno. L'acqua è acqua, la pelle è pelle, muscoli, talento e fatica sono ciò che sono. Il resto è solo inutile, finto e fastidioso più di un sacchetto di plastica che galleggia in un mare verde e azzurro.