Le Fuwa, i cinque pupazzetti simbolo delle Olimpiadi pechinesi non si fanno vedere molto in giro. Fuori dalla Cina, in Italia, non ne abbiamo viste nemmeno di false. Ostentano indifferenza e ignoranza i cinesi che sono qui, in Italia, e si chiedono a loro volta cosa siano le Fuwa.
E c'è da crederci: dal merchandising legato ai simboli e alle mascotte olimpiche il Bocog, il comitato organizzatore delle Olimpiadi pensa di ricavare qualcosa come 300 milioni di preziosissimi dollari. Il che potrebbe spiegare come mai fino a qualche settiamana fa anche in Cina, Paese che tra le tante leadership ha anche quella dei prodotti falsi, la circolazione di gadget falsi fosse parecchio limitata.
Ogni pupazzetto, ogni medaglia augurale ha bella che stampata un'immagine tipo ologramma che oltre a certificare l'origine, ne tutela il marchio. Così, perché la situazione non degenerasse portando alle estreme conseguenze tutto un intero sistema di raccolta fondi destinati ai Giochi.
Ecco perché nemmeno nelle Chinatown - e la cosa ha un che di sorprendente - è possibile trovare i simboli taroccati della manifestazione che più di ogni altra ha contribuito ad accendere i riflettori di mezzo mondo sulla Cina.
Il marchio a tutela della proprietà intellettuale, del resto, è salito alla ribalta proprio qualche mese fa, quando la Cina ha organizzato una settimana della proprietà intellettuale. Sapete cosa hanno messo al centro come prova dell'impegno per la difesa dei diritti di proprietà intellettuale? I gadget (e il marchio) delle Olimpiadi. Anche noi dobbiamo difenderci, aveva detto un rappresentante del comitato speaker al convegno di Shanghai. E non è tutto. Tra due anni si replica a Shanghai. Con il simpatico simbolo blu dell'Expo. Guai a chi lo tocca, cinesi inclusi.