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Lanterne rosse / di Dario Ricci
 

Schwazer, la promessa d'oro nata in Giappone

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22 agosto 2008
Alex Schwazer (Foto Afp)

Dopo essersi messo al collo la medaglia di bronzo ai Mondiali di Osaka, in Giappone, aveva dichiarato: «Sono felice, anche se mi rendo conto che avrei potuto vincere. Onore a chi mi ha battuto, ma dentro di me so che sono il più forte, che posso rovesciare questa classifica. Alle Olimpiadi non sbaglierò».

Sembrava un annuncio eccessivamente velleitario, magari dettato dall'amarezza di essersi visto sfilare l'argento per pochi secondi, invece Alex Schwazer diceva sul serio. E lo ha dimostrato ai Giochi di Pechino, annichilendo gli avversari, staccandoli fino a umiliarli e conquistando un oro strameritato.

Alex è nato a Vipiteno, nel giorno di Santo Stefano del 1984, è alto 185 cm e pesa solo 73 kg, ma soprattutto può vantare delle pulsazioni cardiache di 29 battiti al minuto (Fausto Coppi ne aveva 40), che gli permettono sforzi prolungati e a ritmi vertiginosi per una gara sui 50 km. Marcia per i Carabinieri di Bologna ed è allenato da Sandro Damilano (fratello di Maurizio, oro ai Giochi di Mosca nell'80).

Nel 2005 ha vinto il Campionato italiano sempre nella 50 km. Ha conquistato la medaglia di bronzo ai Campionati mondiali di atletica leggera di Helsinki 2005 nella 50 km, con il tempo di 3h41'54", stabilendo il record italiano. Attualmente il suo personale è di 3h36'04", stabilito a Rosignano Solvay l'11 febbraio 2007.

Ai Campionati mondiali di Osaka dello stesso anno, malgrado una bella rimonta finale (nell'ultimo km ha fatto segnare un formidabile 4'08"), Schwazer ha conquistato di nuovo il bronzo, a pochi secondi dal francese Yohann Diniz e dall'australiano Nathan Deakes. La rabbia sul traguardo dell'atleta altoatesino era stata palpabile: l'oro era ampiamente alla sua portata, ma è stato vanificato da una sottostima delle proprie capacità fisiche, che ha causato l'errore tattico di attendere troppo a lungo prima del cambio di ritmo, avvenuto solo dopo il 30/mo chilometro, quando ormai il recupero su Diniz e Deakes risultava impossibile.

Prendendo spunto da quel grave errore di valutazione strategica, l'azzurro ha realizzato il proprio capolavoro di Pechino 2008, che gli ha permesso di raccogliere l'eredità di Abdon Pamich, bronzo a Roma '60 e oro nel 1964 a Tokyo.

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