E se fossero loro la squadra rivelazione? Si, proprio loro, le 12-stelle-12 che sbarcheranno sul pianeta a cinque cerchi direttamente dalla galassia Nba, i fenomenali milionari che ancora una volta si confronteranno sotto canestro con il meglio dell'"altro mondo" del basket. In una parola, insomma, la nazionale statunitense di pallacanestro. E che nessuno si azzardi a chiamarlo Dream Team: qualcuno di quelli che fecero davvero sognare a Barcellona 1992 (una squadra che schierava sul parquet, tra i professionisti all'esordio nel panorama olimpico, Magic Johnson, Michael Jordan e Larry Bird...) potrebbe offendersi; ma sarebbero soprattuto loro, i protagonisti della spedizione di Pechino a rifiutare il paragone. Meglio mantenere un profilo basso, visto il livello delle avversarie e le figuracce rimediate negli ultimi tempi....
Sberle mondiali, schiaffi olimpici - In realtà , infatti, l'ultimo ventennio di confronti con il basket internazionale ha regalato non poche delusioni alla pallacanestro a stelle e strisce, che pure ha storicamente considerato l'oro olimpico una sua naturale proprietà (12 successi su 15 partecipazioni), tanto da potersi a lungo permettere di conquistarlo con squadre formate dai migliori talenti delle università della nazione (vedi, su tutte la squadra che vinse a Los Angeles '84 schierando proprio un giovanissimo Jordan, ancora lontano dagli anelli Nba con i Bulls), pronti a infilarsi al collo la medaglia d'oro olimpica prima di spiccare il volo verso il professionismo. La sconfitta rimediata a Seul '88 in semifinale contro l'Unione Sovietica dei "lituani" Sabonis e soci (poi campioni nella sfida con la Jugoslavia), convinse i vertici del basket a stelle e strisce a varare il Dream Team che incantò a Barcellona. Ma il resto del mondo del basket da allora ha continuato a crescere e, ritenuta ristabilita la supremazia originaria, la selezione Usa ha perso progressivamente il suo appeal tra le stelle Nba. Da qui formazioni sempre meno "da sogno" e sconfitte da incubo: il sesto posto al mondiale 2002 a Indianapolis; il terzo posto ad Atene2004 segnato da tre sconfitte (con Portorico, Lituania e l'Argentina poi campione contro gli azzurri di Recalcati); il terzo posto ai Mondiali di Giappone2006, con gli statunitensi umiliati in semifinale dalla Grecia di Spanoulis, Diamantidis e "Baby Shaq" Schortsanitis. Pechino, quindi, è l'occasione del riscatto. Per forza.
Coach K – Sulla panchina americana siederà ancora lui, malgrado sia anche sua la "paternità" del deludente terzo posto iridato conquistato in terra giapponese due anni fa. Ma Mike Krzyzewsky, coach e guru di Duke University, ha dimostrato comunque di saper tenere in pugno e motivare le sue stelle. E quello che sotto il profilo tattico è mancato in Giappone verrà garantito dai suoi preziosi assistenti: Jim Boeheim e, soprattutto, Mike D'Antoni, che prima di cominciare a godersi Danilo Gallinari con la maglia dei suoi Knicks, metterà a disposizione della causa comune la sua esperienza di grande conoscitore del basket europeo. Il tutto sotto la regia di Jerry Colangelo, il manager che ha imposto una nuova filosofia per ribaltare il trend negativo dell' "ex" Dream Team, imponendo una disponibilità pluriennale ai giocatori che rispondono "sì" alla convocazione, così da poter lavorare su un gruppo consolidato e su programmi a medio-lungo termine.
Kobe e Le Bron – Non è un caso quindi, se a Pechino il team Usa potrà contare, per la prima volta nella sua carriera, sui servigi di Kobe Bryant, che a 30 anni, dopo 3 anelli vinti coi Lakers, la finale persa quest'anno contro gli storici rivali di Boston, e forte delle sue radici italiane, non ha saputo resistere al richiamo a cinque cerchi. L'Mvp stagionale si presenta a Pechino con qualche acciacco (il dito della mano infortunato da mesi sarà operato dopo i Giochi), ma anche una media in stagione di 28.3 punti e 5.3 assist per gara e tanta voglia di mettere in bacheca un oro che non può mancare nel suo palmares. Kobe dovrà però condividere il ruolo di giocatore più atteso con LeBron James, "Il Prescelto" di Cleveland, capocannoniere della stagione (30 punti di media) e voglioso di riscattare la delusione di Atene, quando l'allora 19enne stellina giocò poco e male. Considerando che il resto del quintetto base dovrebbe essere formato da Jason Kidd (il 35enne play passato quest'anno da New Jersey a Dallas, malgrado i segni evidenti di declino, è il vero leader della squadra), l'altra bocca da fuoco Carmelo Anthony dei Nuggets, e Dwight Howard sotto le plance (14.2 rimbalzi e 20.7 punti per gara per il centro di Orlando), ecco che molti dei problemi di coach K potrebbero essere risolti già dopo il primo quarto di gioco.......
Rosa stellare – Anche perché pure il resto della squadra non è proprio da buttar via. Si va da Chris Paul, miglior assistman stagionale (media 11.6 a partita) e in lotta fiono all'ultimo con Kobe pe ril titiolo di mvp dopo la grand estagione cui ha guidato New Orleans, a Carlos Boozer, totem e "mister utilità" di Utah sottocanestro (21.1 punti e 10.4 rimbalzi di media quest'anno). E che la squadra sia stata costruita all'insegna del "tutti per uno" più che dell"uno per tutti", lo confermano lo spiccato senso del gruppo che caratterizza anche gli altri convocati, come l'ala forte di Toronto Bosh, il play guardia di Utah Daron Williams, la guardia di Milwaukee Reed, l'ala di Detroit Tayshaun Prince. Tutta gente che, se si mettesse in proprio, porterebbe a casa 20 punti a serata, ma a cui coach K chiede soprattutto difesa e passaggi, per aggirare le trappole di Argentina e Spagna, le due rivali con cui i suoi ragazzi dovranno probabilmente giocarsi l'oro a Pechino.
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