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Lanterne rosse / di Dario Ricci
 

Messico '68: il sangue non ferma le Olimpiadi

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Torben Grael (AP Photo/Herbert Knosowski)

Città del Messico, 2 ottobre 1968. Nella piazza delle Tre Culture, nel quartiere Tlatelolco, migliaia di studenti e lavoratori messicani si danno appuntamento per manifestare pacificamente contro il Governo di Gustavo Diaz Ordaz, a capo di un partito che di rivoluzionario ha solo il nome. Mancano appena dieci giorni all'inizio della 19esima edizione dei Giochi Olimpici. Ma è dall'estate che il Paese è attraversato dalle tensioni che del resto caratterizzano l'intero anno, dalla protesta studentesca all'offensiva in Vietnam, dagli assassini di Martin Luther King e Bob kennedy ai carri armati russi che soffocano nel sangue la Primavera di Praga. Il 22 luglio 1968, nella capitale messicana, una banale rissa tra istituti studenteschi viene sedata con la forza dai granaderos, i carabinieri messicani. È la scintilla che nell'anno olimpico, fa scattare il corto circuito tra le due anime del Paese, come spiega Marco Bellingeri, docente di storia dell'America latina all'università di Torino e direttore del centro di cultura italiana a Città del messico.

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Eddy Ottoz allora era un ragazzo di 24 anni. Quarto ai Giochi di Tokio nei 110 ostacoli, in Messico era pronto per puntare a una medaglia olimpica. Giovane attento, spirito libero, Ottoz aveva avuto occasione per conoscere da vicino le tensioni della società messicana, avendo più volte visitato il Paese negli anni precedenti, proprio in vista di quelle Olimpiadi, particolarmente attese per il clima politico, l'altitudine che avrebbe condizionato molti risultati, la diretta tv che per la prima volta avrebbe portato i Giochi nelle case di tutto il mondo.

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Quel 2 ottobre 1968 sono oltre 10mila i giovani che accorrono in Piazza delle Tre Culture per partecipare alla manifestazione antigovernativa. Il segnale della repressione arriva alle 17.30, dal cielo. Le vie di fuga della piazza vengono chiuse: all'improvviso, dai tetti del ministero degli Esteri e dagli elicotteri partono raffiche di mitra sulla folla: sono 62 interminabili minuti di fuoco. Tra i feriti anche l'inviata dell'Europeo Oriana Fallaci che rilascia al Tg Uno questa drammatica testimonianza dal suo letto d'ospedale il giorno dopo.

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Il bilancio della carneficina è di oltre 300 vittime, 1200 feriti, 1800 arrestati, 25mila colpi sparati. il silenzio di Ottoz, tra i primi ad accorrere sul luogo della tragedia, è più eloquente di qualsiasi parola.

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Molto si è scritto e detto su quello che rimane uno degli episodi più tragici della storia dell'olimpismo. Le trame sottostanti a quella strage sembrano ora più chiare ed evidenti, e solo di recente il Messico è riuscito a fare i conti con quel passato scomodo e tragico.

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Il sangue sparso a piazza delle Tre Culture non fermò, però, le Olimpiadi messicane. Le parole di Ottoz sembrano un monito prezioso anche sulla strada verso Pechino. Ma qual è oggi, l'eredità dei morti di Piazza delle tre culture? Ancora Marco Bellingeri

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