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Coppi e quella fuga leggendaria
nella Cuneo-Pinerolo di 60 anni fa

di Massimo Donaddio

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18 maggio 2009

In occasione della tappa vinta dal Campionissimo nel 1949 e riproposta al Giro di quest' anno, un libro di Paolo Alberati ripercorre l'eccezionale avventura sportiva del grande corridore piemontese

Non si può essere appassionati di Bartali senza essere tifosi innamorati di Coppi. Parte da qui, da questo sentimento, da questa convinzione profonda e così vera la ricerca che ha portato Paolo Alberati, già autore del libro Gino Bartali, mille diavoli in corpo, a misurarsi con il personaggio e la vicenda umana e ciclistica di un monumento dello sport italiano come Fausto Coppi, il Campionissimo, l'atleta che forse più di ogni altro ha segnato la "rivincita", almeno nello sport, di un'Italia reduce dalla tragedia della guerra.

Vincitore di ben cinque Giri d'Italia (dal 1940 al '53) e di due Tour de France (1949 e 1952), primo ciclista al mondo ad ottenere due volte la storica doppietta Giro-Tour, recordman dell'ora nel 1942; vincitore di cinque giri della Lombardia (di cui quattro di seguito), per tre volte della Milano-Sanremo, una Parigi-Roubaix, una Freccia Vallone. Campione del mondo su strada a Lugano nel 1953 e su pista nell'inseguimento nel 1947, Coppi ha conquistato nella sua carriera 122 vittorie su strada e 83 su pista.

Numeri impressionanti, che ne fanno il più famoso e acclamato corridore del suo tempo e uno dei maggiori e più famosi atleti di sempre. Una figura, però, complessa: di carattere schivo e introspettivo, anticonvenzionale (nello sport e nella vita), ferocemente determinato, rappresenta, appunto, l'Italia che vuole risorgere dalle macerie e dalle avversità, che vuol tornare a competere e riscattarsi con la vittoria, fino alla tragica e prematura morte, avvenuta a soli quarant'anni a causa della malaria contratta in Africa e non prontamente diagnosticata.

In occasione del Giro d'Italia del Centenario e dei 60 anni della tappa Cuneo-Pinerolo, vinta in maniera leggendaria da Coppi nel 1949 e riproposta al Giro di quest' anno, il libro di Alberati ripercorre cronologicamente e in maniera scorrevole l'eccezionale avventura sportiva del campione piemontese, la rivalità con l'altro fuoriclasse del suo tempo, Gino Bartali, grazie anche alle testimonianze dei familiari (i figli Marina e Faustino) degli ex gregari a lui più vicini (Sandrino Carrea ed Ettore Milano) e a un imponente corredo di foto d'epoca. Un ricordo e un racconto a tutto tondo sia del Coppi privato che del personaggio pubblico, testimone e icona anche del progresso sociale ed economico dell'Italia della Ricostruzione.

Nel libro si racconta dell'uomo senza bici, della sua famiglia e del rapporto con la seconda moglie Giulia Occhini, la "Dama Bianca", in una relazione che fece scandalo a quel tempo; e del campione scoperto dal massaggiatore cieco Biagio Cavanna, primo atleta a capire l'importanza di una preparazione sportiva "scientifica" sotto tutti i punti di vista: dall'allenamento, all'alimentazione, al supporto della medicina. Alberati sottolinea anche, con rispetto ma senza timore reverenziale, l'utilizzo consapevole e già ampiamente diffuso di eccitanti e stimolanti per migliorare le prestazioni dei ciclisti, a quel tempo assolutamente non sanzionate.

Divenuto ricchissimo con le vittorie ma sempre irrequieto nell'animo, Coppi aveva un'arma in più nel suo fisico perfetto per la corsa: muscolatura e ossatura fragili, ma un torace particolarmente sviluppato, con i polmoni in grado di racchiudere 7,5 litri d'ossigeno e una frequenza cardiaca di 34 battiti al minuto. Un fisico da campione, una classe purissima, una fachiresca capacità di allenamento, eppure anche una malinconia e un'inquietudine misteriosa che gli resteranno sempre dentro e lo spingeranno a continue gare e spostamenti, da vero randagio del ciclismo. Fino a quel viaggio in Africa, in Alto Volta, per un'esibizione e una battuta di caccia (altra sua grande passione). Una zanzara fatale, la malaria che lo consuma nel giro di poche settimane, l'agonia, la morte. Il funerale, una folla oceanica per onorare e rendere omaggio a quello che era stato ribattezzato dai francesi il Campionissimo. «Un uomo solo è al comando; la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi», commentò il cronista Rai Mario Ferretti in occasione della Cuneo-Pinerolo del '49. Il primo degli inseguitori era il grande Gino Bartali, staccato di 12 minuti.

Paolo Alberati
Fausto Coppi. "Un uomo solo al comando"
Giunti editore, pagg. 192, € 16,50

18 maggio 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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