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Giro d'Italia, lo sciopero farsa che ha scontentato tutti

di Dario Ceccarelli

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18 maggio 2009

Che il ciclismo stia vivendo uno dei peggiori momenti della sua storia, lo si è visto domenica a Milano. Si è visto di tutto. E come sempre, quando le idee sono confuse, si è passati rapidamente dal dramma alla peggiore commedia all'italiana. In particolare i corridori che, con il loro sciopero, subito abortito in farsa, sono riusciti a realizzare un'impresa davvero unica: scontentare tutti. Dagli appassionati, che a Milano volevano festeggiare i cento anni del Giro con una tappa vera e combattuta, agli organizzatori, che con legittimo orgoglio aspettavano il traguardo di Milano per celebrare i cento anni della corsa, partita proprio da piazzale Loreto nel 1909.

Ma non solo. Anche se non lo sanno, a parte forse i più avvertiti (ma sono pochi), i corridori sono riusciti, ancora una volta, a farsi del male. Non ingurgitando le solite droghe, che pure sono il maggior attentato alla loro salute, ma inscenando una patetica protesta per la scarsa sicurezza del circuito di Milano.

Ebbene, sì, ce l'hanno fatta. Sono riusciti ancora una volta a farsi del male. Perché questa volta, a parte le legittime preoccupazioni per la sorte del collega spagnolo Pedro Horrillo, finito sabato in un burrone nella tappa di Morbegno, c'era davvero poco da dire. Il ciclismo, di per sé, è una sport pericoloso. Bella scoperta. Certo, si può aumentare la sicurezza, evitare curve a gomito prima di uno sprint, mettere balle di paglia nei punti critici di un percorso, illuminare le gallerie buie, ma alla fine, vivaddio, dei rischi bisogna prenderli per forza. Fa parte del mestiere. Dopo una montagna c'è la discesa, che va affrontata il più velocemente possibile; e così uno sprint, nel novanta per cento dei casi, diventa una bagarre selvaggia, dalla quale qualsiasi comune mortale scapperebbe subito a gambe levate.

Ma i corridori, proprio perché fanno questo mestiere, no. Non esiste. Ve lo vedete Valentino Rossi che piagnucola sulla pericolosità delle curve di un circuito di Motogp? Ma per favore. Il problema è proprio questo: che i corridori hanno perso credibilità. Gente abituata a pedalare sui pietroni della Roubaix, si scandalizza per quattro coni di gomma che delimitano la corsia. Per non parlare delle auto o delle rotaie del tram.

Chiedetelo alle mamme milanesi che, in bicicletta, portano ogni giorno i figli a scuola. Vi manderanno a quel paese. Tanto più se sapranno che tra i caporioni della manifestazione ci sono corridori come Armstrong, un uomo che ha visto in faccia la morte, e Danilo di Luca, attuale maglia rosa, che corre da una vita e, in più, ha anche avuto i suoi bei problemi di doping.

Intendiamoci: non è facile, stando in bicicletta, fare analisi profonde. Però, almeno prima di partire, si può discuterne. Mettere giù quattro idee sensate. Invece è tutto affidato al caso, o alla personalità di leader, come Armstrong, che invecchiando, come ha detto giustamente il patron del Giro, Angelo Zomegnan, hanno meno voglia di rischiare la pelle.

Il problema è che questi corridori non sono più né carne né pesce. Finito il tempo del ciclismo eroico, e anche quello degli Anni Settanta di Gimondi, Merckx , Hinault - gente che comunque, con la bicicletta, e la fatica, si era sottratta alla povertà - dopo gli anni Novanta, con l'arrivo del doping scientifico, si è formata una nuova generazione completamente diversa dal passato. Diversa in peggio, purtroppo. Gente che spesso, pur di incassare lauti ingaggi, corre anche il rischio di una squalifica di due anni, che traffica con gli sponsor, che vuole subito il macchinone, che ingurgita il viagra prima di una volata per essere più pimpante, che, infine, non ha la minima coscienza sindacale e neanche la dignità dei vecchi corridori, che davvero facevano fatiche bestiali, e a volte, per tirare avanti, buttavano giù intrugli artigianali che esaurivano l'effetto dopo la corsa.

Non sarà facile, uscire da questo ginepraio. Non c'è etica, voglia di ripartire come si deve. Anche i migliori corrono da soli, senza far più gruppo. In questo senso, ancora una volta, il Giro d'Italia è una perfetta fotografia del paese che attraversa.

18 maggio 2009
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