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Il ministro del turismo sudafricano: «Sicurezza, stadi, strade: siamo pronti per il Mondiale»

di Dario Ricci

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19 febbraio 2010
Mondiali, il ministro del turismo del Sudafrica Marthinus Van Schalkwyk


«Mancano 110 giorni al fischio d'inizio di una Coppa del Mondo che abbiamo atteso sette anni e che durerà un mese. Per questo stiamo già pensando a cosa sarà dopo, a cosa resterà nel nostro paese della grande festa del calcio mondiale».

Poche battute e subito Marthinus Van Schalkwyk, 51 anni ministro sudafricano del Turismo, ti fa capire come il festival del pallone che scatterà a Johannesburg l'11 giugno prossimo, sia molto più di un gioco. Il Sudafrica si mette in mostra alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano, fra gli stand multicolori e i visitatori che fanno a gara per abbracciare Zakumi, il leopardo gialloverde mascotte di Sudafrica 2010. Ma il cuore e la mente sono orientati verso Johannesburg, Capetown, Durban, un intero paese di fronte a una "big opportunity" che sa tanto d'esame d'ammissione nel mondo che conta.

«C'è una grande eccitazione nel Paese. La respiri nelle strade, nei pub, nelle township, tra la gente – ci racconta Van Schalwik, mentre sorseggia un caffè nello stand sudafricano. Per la prima volta il Sudafrica, l'Africa tutta, ospitano una delle più grandi manifestazioni sportive mondiali. La viviamo come una grande opportunità, non come un esame agli occhi del mondo»

Molti visitatori europei sono preoccupati per la sicurezza. Statistiche e testimonianze dirette, sotto questo profilo, non sono incoraggianti. Rimedi?
«Siamo abituati a ospitare 10 milioni di turisti l'anno, molti dei quali tornano poi negli anni successivi. Abbiamo presentato un dettagliato piano di sicurezza per la manifestazione, che ha ricevuto il via libera della Fifa».

Qualche numero?
«Il governo ha investito 640 milioni di rand (60 milioni di euro, n.d.r) per l'impiego di 41mila agenti proprio in occasione dei Mondiali (31mila in servizio permanente e 10mila riservisti), per un totale di 190mila poliziotti impiegati nelle strade . Abbiamo ospitato grandi eventi sportivi di rugby, cricket e altri sport senza alcun incidente tra tifoserie. Per il resto, nelle nostre città avviene quello che può capitare a Londra, a Washington o Parigi o in ogni parte del mondo: ci sono aree più sicure e altre meno».

Quale sarà l'impatto della Coppa sul turismo sudafricano?
«Stimiamo in 450mila pronti a visitare il Sudafrica in occasione dei prossimi campionati del mondo (un dato che però ieri la Fifa ha definito «troppo ottimista», n.d.r.). L'Italia, in particolare, è una nazione strategica per noi: tra gennaio e novembre 2009 le presenze di italiani in Sudafrica sono aumentate del 7,8%, raggiungendo quota 54.044. Credo che i Mondiali daranno una bella spinta in alto a questi numeri già significativi».

Quale disponibilità in termini di ricettività? Le autorità locali di alcune zone – ad esempio l'area di Port Elizabeth e della Mandela Bay – ci avevano confessato, nell'ottobre scorso, alcune difficoltà nel reperire abbastanza stanze e alberghi per tutti i turisti previsti. Quali soluzioni avete messo in campo?
«Abbiamo più di 200mila camere a disposizione per l'intero torneo. E poi guardiamo a quanto accaduto nel 2006 ad Amburgo, ad esempio. Anche lì non c'era una ricettività adeguata, ma moltissimi tifosi andarono in città per vedere le partite, per poi tornare ai loro alloggi, nelle diverse sedi di partenza, senza fermarsi la notte. La stessa cosa accadrà spesso anche per il nostro Mondiale».

Sicuri?
«Sì. Perché quella che vogliamo offrire non è solo l'opportunità di vedere una partita, ma è il vivere una completa esperienza nel segno dell'Africa. Accadrà spesso che i tifosi la mattina andranno a vedere un safari, il pomeriggio si godranno la partita e la sera magari andranno in un ristorante tipico o a godersi un barbeque. Questa non è una Coppa del Mondo come le altre; è una Coppa del Mondo in Africa: puoi fare shopping nelle città, ma anche passare ore a vedere elefanti e rinoceronti da vicino!».

Potrà il calcio, dopo i Mondiali, diventare patrimonio comune della cultura della Rainbow Nation, ancora divisa - sportivamente parlando - tra il rugby a maggioranza bianca e il soccer, amato dai neri?
«Personalmente sono un buon esempio d'integrazione, perché sono un bianco che ama il rugby, il football e anche il cricket! Battute a parte, negli ultimi venti anni le cose stanno cambiando: sotto l'impulso di Nelson Mandela, tutti stanno imparando ad apprezzare tutti gli sport, già negli anni della scuola. E negli stadi del calcio, anche il numero degli appassionati bianchi sta continuando a crescere. È questo che chiediamo al Mondiale: continuare ad aiutarci a costruire la nostra nazione».

Riesce a immaginare, già oggi, quale sarà l'eredità di questo Mondiale per il Sudafrica?
«Ci lascerà infrastrutture, investimenti, ma soprattutto competenze, capacità e conoscenze che oggi possiamo solo immaginare di avere. Ma ci regalerà anche il calcio, come strumento ancora più efficace di socializzazione e condivisione. È quello che vogliamo lasciare alle generazioni future».

La grande anima di quest'avventura è Nelson Mandela. C'è un ricordo personale che la lega a lui?
«Molti, perché abbiamo lavorato a lungo insieme. Ricordo quest'episodio: un giorno avevamo lavorato, discusso e litigato, e lui era molto arrabbiato nei miei confronti. Venne in visita ufficiale un importante capo di stato straniero, e al momento di introdurci agli ospiti, Mandela presentò solo mia moglie, ignorandomi completamente. Poi però facemmo pace. Piccole grandi lezioni che si ricevono, quando si ha la fortuna di vivere accanto a un leader come lui».

19 febbraio 2010
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