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Il preparatore Tirelli: «All'Angola non andava affidata la Coppa d'Africa»

di Dario Ricci

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25 gennaio 2010
Stefano Tirelli al lavoro con Essien


«Chiunque conosca minimamente l'Africa, sa bene che a Cabinda non si sarebbe mai dovuto giocare. Per questo stavolta sono rimasto a casa». La Coppa d'Africa va avanti, tra le prodezze di Eto'o e l'attesa per i gol di Drogba, la forza dei faraoni d'Egitto e i sogni dell'Angola padrona di casa. Ma il pensiero di Stefano Tirelli si è fermato a quanto accaduto alla nazionale del Togo, all'aggressione subita l'8 gennaio scorso da Adebayor e compagni nell'enclave angolana da parte dei terroristi indipendentisti, facendo morti e mutilando il torneo. «Conoscevo i rischi che si potevano correre affidando l'organizzazione a un paese che non ha grande esperienza né tradizioni, e dove le macerie della guerra civile sono ancora fumanti. Perciò stavolta ho deciso di non prendere parte alla Coppa».

Rinuncia sofferta, quella di Tirelli, 40 anni, docente di Scienze Motorie all'Università Cattolica di Milano, che per quattro stagioni (dal 2005 al 2009) è stato preparatore atletico del Ghana di Muntari, Essien e Appiah, seguendo la preparazione per i Mondiali di Germania 2006 (il Ghana affrontò l'Italia poi campione del mondo nel girone eliminatorio) e nel torneo continentale poi per so in casa nel 2008. Il futuro è ancora in certo («Anche nel calcio si soffre di mal d'Africa, sa?», spiega sorridendo), ma di certo ai Mondiali 2010 sarà a bordocampo, se non con il Ghana magari con qualche altra squadra (le sirene anglosassoni - sempre forti per chi come lui ha lavorato anche nel Chelsea ai tempi di Mourinho – sono tornate a farsi sentire...)

Professor Tirelli, lei si aspettava, dunque, una Coppa d'Africa così complicata?
Conoscevo i rischi che si potevano correre affidando l'organizzazione a un paese che non ha grande esperienza né tradizioni, e dove le macerie della guerra civile sono ancora fumanti. Perciò stavolta ho deciso di non prendere parte alla Coppa.

E dire, invece, che il calcio africano sotto il profilo tecnico potrebbe avere proprio quest'anno la grande occasione, con i primi Mondiali giocati in casa...
Sicuramente. Il livello di gioco e preparazione si sta alzando, e ormai tutti i giocatori più affermati trovano stabilmente spazio in Europa. Ma è chiaro che Sudafrica2010 sarà un banco di prova definitivo per l'intero continente, sotto il profilo calcistico, infrastrutturale, organizzativo.

Campioni d'esportazione, quindi, quelli africani. Ma quale legame sopravvive con la propria terra d'origine, una volta che si diventa ricchi e famosi in Europa?
È un legame intenso e fortissimo. E se è così per i calciatori, ancora più forte lo è per i tifosi. Chi si afferma in Europa diventa un idolo, osannato dalla folla, ma da cui si pretende il massimo. Non di rado mi è capitato di vedere giocatori minacciati, o macchine danneggiate o parenti malmenati perché un calciatore aveva sbagliato un gol o un intervento difensivo. In questo senso la Coppa d'Africa nello stesso anno del Mondiale non aiuta, perché i migliori di sicuro non vorranno rischiare infortuni per non pregiudicare un'annata decisiva.

L'Africa è anche stregoneria, riti tribali, medicine alternative. Immaginiamo grandi discussioni tra lei e gli stregoni locali, negli spogliatoi, per decidere quali terapie far seguire a un giocatore infortunato...
Anche da questo punto di vista le cose stanno cambiando, ma è chiaro che non sempre c'è la giusta professionalità. Ho visto iniezioni mal eseguite che hanno impedito a campioni di non disputare una semifinale di Coppa d'Africa, ad esempio. Comunque lo stregone che in tribuna che fa riti e sacrifici animali per scacciare gli spiriti maligni davvero non manca mai!

La politica da sempre esercita la sua influenza sul football africano. Il caso-Angola lo dimostra. Ci sono episodi, in questo senso, che ha vissuto in prima persona?
Ricordo bene la vigilia della sfida Ghana-Brasile ai Mondiali del 2006, valida per gli ottavi di finale, e poi vinta dai brasiliani. Alle due di notte in albergo i giocatori ghanesi erano ancora in piedi a contrattare con i dirigenti, perché mancava l'accordo sul premio-qualificazione e i biglietti per la partita per tutti i parenti. Magari con due ore di sonno in più, sarebbe finita diversamente...

Ma qual è l'Africa del calcio che le rimane negli occhi?
Un potenziale infinito di passione, energia, entusiasmo. Due anni fa perdemmo in casa la semifinale della Coppa d'Africa contro il Camerun. Allora ci trasferimmo da Accra a Kumasi per giocare la sfida con la Costa d'Avorio per il terzo posto. Ebbene, sbarcati all'aeroporto trovammo migliaia di tifosi ad accoglierci, e divennero milioni sulla strada verso lo stadio. Tutti ad acclamarci come fossimo stati i vincitori. È quella l'Africa che mi porto nel cuore.

Cosa dobbiamo aspettarci per Sudafrica2010?
Quella stessa passione, energia allo stato puro. E può essere la volta buona anche sotto il profilo tecnico. Costa d'Avorio e Ghana hanno tutto per entrare tra le prime quattro squadre della Coppa del Mondo.

25 gennaio 2010
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