Difficile prenderlo in contropiede. Anzi, in controfuga. Perché Roberto Fiori, cittì della nazionale femminile di pallanuoto, sa che del Setterosa non deve essere solo il timoniere, ma anche il parafulmine. Cavallo di ritorno, Fiori, sulla panchina azzurra (dove si era già seduto nel 2001), dopo il sesto posto di Pechino e la fine dell'avventura di Maugeri (ora alla guida dell'Olanda, oro olimpico proprio in Cina. L'obiettivo dichiarato è Londra2012, l'Olimpiade in cui il Setterosa di oggi cercherà di tornare grande (nell'albo d'oro) e sarà finalmente grande (guardando le carte d'identità delle ragazze che scendono in acqua, in queste tiepide serate del Foro Italico).
E allora Fiori – che del progetto è l'ideatore e il demiurgo – si ritrova a gestire un mondiale da onorare in casa, con l'obbligo costante di far però presente – alle sue ragazze e a tutto il carrozzone mediatico che ruota attorno a Roma09 – che l'obiettivo vero da raggiungere dista ancora tre anni, e non ha la forma dell'iride ma quella tondeggiante dei cinque cerchi olimpici.
Inevitabile che allora il cittì vesta più comodamente i panni del pompiere che quelli del fuochista: applausi alle veterane che hanno trascinato il Setterosa fuori dalla palude cinese, traghettandolo verso quella sfida con la Grecia che è la riedizione della finale di Atene 2004; sculacciate a qualsiasi delle emergenti che provi anche solo per un istante a pensare che la scuola sia finita e che allora si può andar spasso in giro, libere e belle, senza il grembiule d'ordinanza.
Accade allora che Giulia Emmolo, 17enne che gioca a Imperia, rifili due splendidi sinistri alla Cina, che si concretizzano nel tabellino della gara in due gol alla fine decisivi per la sopravvivenza dei sogni di gloria azzurri. La ragazza, schiva e intimidita, ma invocata dalle tv, fa allora capolino nella zona mista per incontrare i giornalisti. In quel momento Fiori sta rilasciando una delle sue chilometriche dichiarazioni a un altro gruppo di addetti dell'informazione. Ma lo sguardo corre lontano, e incrocia quello di Emmolo, ormai già arrivata a portata di telecamera. «Via Emmolo! Emmolo, via di lì!! Portatela via! A far la doccia!!», tuona da lontano il cittì; e lei, viso lentigginoso e sguardo di chi ha immediatamente capito di averla fatta grossa, che sgattaiola veloce nello spogliatoio, ancora avvolta nell'accappatoio azzurro. «Ha 17 anni, a quell'età le telecamere fanno male… bisogna capire che c'è ancora tanto da lavorare per arrivare ai nostri obiettivi. Eppoi è vero che ha fatto due gol, ma se sulla terza occasione avesse passato il pallone, invece di tirare in porta e sbagliare, avremmo fatto un'altra rete. È un fatto di esperienza, e quella non te la regala nessuno, ma arriva solo giocando, giocando, giocando...».
Rimprovero sofferto, quindi, come ognuno che un buon padre fa per far prendere la strada giusta al figlio. Sembra quasi di vedere una di quelle scoppole che ogni tanto Mourinho rifila a Balotelli o Santon. Ma è anche attraverso questi piccoli grandi gesti che si costruisce una grande squadra. E un grande giocatore.