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La crisi economica sbarca anche nel football americano

di Dario Ricci

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12 dicembre 2008

Era inevitabile. Prima o poi, la crisi economica sarebbe arrivata anche lì. Dove? Nel dorato mondo della National Football Association, il football americano, religione, passione, mania di ogni sportivo statunitense che si rispetti. Ma anche hockey su ghiaccio e baseball continuano a lanciare segnali preoccupanti. O meglio, si moltiplicano i messaggi rassicuranti: che, come ben sanno gli esperti dei mercati finanziari, sono quanto di più preoccupante possa esserci sulla futura stabilità di qualsiasi impresa….

Tagli inattesi – Era appena l'inizio di settembre quando la prestigiosa rivista finanziaria "Forbes" definiva la Nfl «la Lega più ricca e più forte dello sport mondiale». I conti sono presto fatti. La Lega ha ricavi annui pari a 6,5 miliardi di dollari (di cui circa 4,5 finiscono in ingaggi dei giocatori). Per questo l'annunciato taglio del 14% del personale della Lega (che impiega circa 1100 addetti in totale) ha avuto un impatto soprattutto sotto il profilo simbolico. Nel giro di 60 giorni perderanno il posto di lavoro circa 150 addetti tra la sede di New York, quella della NFL Films in New Jersey e alcune produzioni web e tv di Los Angeles. I tagli rientrano in un piano più ampio di riduzione dei costi, stimato in circa 50 milioni di dollari, e vanno considerati "al netto" di quelli eventualmente decisi da ognuna delle 32 franchigie all'interno dei propri staff . I problemi dell'Nfl sono quelli comuni alle altre leghe professionistiche: alto costo del lavoro (cioè gli ingaggi dei giocatori, pari al 60% degli introiti; non ha caso il contratto collettivo di lavoro verrà ridiscusso a fine 2010, e non dopo il 2012, come previsto all'inizio), la crisi dell'auto e di altri settori commerciali che sono tra i principali sponsor dei team; il rischio di una significativa diminuzione di incassi al botteghino. Non a caso, già lo scorso mese è stata annunciata la riduzione del costo dei biglietti per i playoff di circa il 10% rispetto al 2007-08. «Avrei voluto poter dire che siamo immuni da ciò che ci sta accadendo intorno – ha spiegato il commissioner della Lega Roger Goodell - ma purtroppo non è così, e quello che stiamo facendo oggi ci permetterà di cogliere nuove opportunità di crescita in futuro».

Crepe nel ghiaccio – Incertezza e cauto ottimismo. Anche il mondo della Nhl, la Lega professionistica dell'Hockey, oscilla tra questi due poli. Martedi, mentre la Nfl annunciava i suoi tagli, il commissioner dell'Nhl Gary Bettman dettava le linee-guida che la Lega seguirà per ammortizzare l'impatto con la crisi. Le vendite dei biglietti e gli ascolti tv sono in ascesa, ma la Nhl ha deciso di monitorare le vendite dei tagliandi per i playoff, indicatore considerato particolarmente significativo. Non dovrebbero esserci invece modifiche sostanziali nel salary cap (fissato in un massimo di 56,7 milioni di dollari per team per la stagione in corso) per il prossimo anno: «Al massimo oscillazioni di 1 o 2 milioni verso l'alto o il basso», ha spiegato Bettmann. Intanto però, il front office dei Buffalo Sabres ha dovuto smentire le voci di una messa in vendita del club, mentre il presidente dei Phoenix Coyotes (gli ex Winnipeg Jets), Doug Moss, ha denunciato milioni di dollari di perdite ( tra i 25 e i 35, per l'esattezza).

Mercato in stallo – A due volti, finora, la situazione nel baseball. A preoccupare l'associazione giocatori ( e molti dei loro procuratori) è la staticità del mercato dei free-agent, cioè dei circa 150 giocatori disponibili e liberi da contratto. I San Francisco Giants hanno messo sotto contratto 3 "free agents", ma nessuno ha un contratto più lungo di 2 anni o superiore ai 20 milioni di dollari. Inoltre alcuni team stanno riducendo i compensi per i propri staff: è il caso dei san Diego Padres, i Colorado Rookies, gli Arizona Diamondbacks. E questi ultimi hanno già licenziato 31 addetti del front-office. E tutti i team stanno mettendo a punto offerte speciali per i biglietti della prossima stagione. Dall'altro lato, però, si registrano clamorosi colpi di mercato, soprattutto a New York. Ai Mets che hanno firmato l'ex lanciatore degli Angels Francisco Rodriguez per 3 anni per 37 milioni di dollari a stagione, hanno risposto gli Yankees, firmando per 160 milioni di dollari in sette anni (cifra più alta mai pagata per un lanciatore) C.C. Sabathia, 28enne pitcher mancino ( e free-agent, dopo essersi diviso lo scorso anno tra Cleveland e Milwaukee). Fin quando basterà la passione per giustificare queste cifre agli occhi di tifosi alle prese ogni giorno con gli effetti della recessione?

Futuro catodico – Il fatto è che – malgrado la capacità di diversificare tipo di business e fonti di guadagno – lo sport Usa resta legato a doppio filo ai contratti siglati con i grandi network televisivi. Finché i ricchi accordi già sottoscritti non andranno in scadenza, un gettito stabile sarà garantito a tutto il sistema. Ma non mancano indizi che, dopo, qualcosa potrebbe cambiare. Si veda a proposito la sorprendente scelta del Comitato Olimpico Internazionale, che ha deciso di rinviare a fine 2009 l'asta per i diritti tv negli Stati Uniti delle Olimpiadi 2014 (invernali, Sochi, Russia) e 2016 (da assegnare a ottobre 2009 a una tra Chicago, Rio de Janeiro, Tokio e Madrid). Insomma, l'accordo con le tv statunitensi si troverà dopo avere definito la sede dei Giochi 2016. Come dire che, se non sarà Chicago, Nbc, Fox, Espn e Abc potrebbero garantire al circus a cinque cerchi qualche dollaro in meno dei tre miliardi (e un altro miliardo portato dagli sponsor) messi sul piatto per il triennio 2010-2012. Segno che, in tempi di crisi, i grandi network non sarebbero più pronti a fare investimenti al buio. Né per il sacro fuoco di Olimpia né, forse, per le passioni sportive dei fans a stelle strisce.

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