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La crisi e lo sport Usa: meno risorse, ma lo spettacolo continua

di Dario Ricci

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15 ottobre 2008

«Ma lei mi crede se le dico che qui, nel mio studio ad Ancona, ho appeso al muro la fotografia di Coppi e Bartali che si scambiano la celebre borraccia, e nel mio ufficio all'Indiana University ho il poster di Larry Bird?»: a sentirne la voce squillante al telefono, davvero non si può dubitare che Michele Fratianni non sia un appassionato di sport. E a scorrerne il corsus honorum, altrettanto facile riconoscere in questo singolarissimo pendolare tra Italia e America l'uomo giusto per provare a capire qualcosa di più delle conseguenze della crisi finanziaria sul mondo dello sport- business a stelle e strisce.

Dall'Ohio all'Indiana – Laureato all' Ohio State University nel 1967, poi docente all'Università della California a Berkley, oggi Fratianni è professore emerito di "Business Economics and Public Policy" presso la Kelley School of Business dell' Indiana University. «Abito proprio a una ventina di chilometri da French Lick, dove vive Larry Bird!: sapesse quanti tifosi in pellegrinaggio, ogni giorno!», spiega divertito il professore, che insegna economia anche presso l'Università Politecnica delle Marche. E il sorriso non si spegne neppure quando gli chiediamo quali potranno essere le ricadute di questa crisi sullo sport statunitense, legato a doppio filo col mondo dell'alta finanza e dei grandi sponsor. «Ci sarà da stringere i denti, certo, ma lo sport made in Usa reggerà –dichiara convinto – e le spiego perché…».

Fuga dalla realtà – «C'è una componente psicologica in ogni periodo di crisi», chiarisce Fratianni. «Proprio nei momenti più difficili, chi può cerca una via d'evasione, un momento di spensieratezza: ecco allora che lo sport è un'esigenza fondamentale». «Dobbiamo inoltre accettare – continua il professore – che la depressione economica toccherà tutto il mondo industrializzato, con ricadute sull'economia reale: contrazione dei consumi, perdita di posti di lavoro, diminuzione dei salari. A quel punto, chi saprà organizzare al meglio grandi eventi sportivi – e gli americani in questo sono maestri – continuerà a fare comunque business con lo sport».

Corsi e ricorsi – «Non era del resto accaduta la stessa cosa - sottolinea il professore - negli anni Trenta, dopo la crisi del '29 e la Grande Depressione, che in America fu ancora più dura che in altre zone del mondo? Si faceva fatica a sbarcare il lunario, ma chi non ammirava i grandi campioni del baseball, come Lou Gherig o Babe Ruth?».

Volumi ridotti – Ma insomma, professore, non vorrà farci credere che basterà solo questa componente psicologica a mettere al riparo lo sport Usa da possibili ribaltoni? «Questa sarà l'ancora di salvezza – chiarisce Fratianni – in un mare in tempesta fatto di contratti tv rinegoziati al ribasso, minore disponibilità di spesa per il divertimento, ricerca di soluzioni economiche innovative da parte delle grandi franchigie per restare a galla (si veda, ad esempio, l'iniziativa dei New Jersey Nets e degli Indiana Pacers, team Nba che hanno iniziato a permettere ai fans il pagamento dilazionato dei biglietti per alcune serie di gare di regular season dell'Nba, ndr)». «In questo scenario, non è detto che le grandi stelle potranno continuare a intascare contratti milionari; o meglio, magari le grandi stelle sì, perché sono quelle che trascinano il mercato e fanno tendenza, ma non tutti giocatori professionisti». Ecco allora che potrebbero arrivare le riduzioni di incassi, e quindi di introiti tv, sponsorizzazioni e del salary cap per gli atleti. «Ma insomma, mi creda, penso proprio che l'industria automobilistica, ad esempio, soffrirà molto di più di quella sportiva!». E magari diminuirà anche il costo dei biglietti al botteghino, spesso molto elevato in America.

Concorrenza in casa – Anche perché, a ben guardare, il sistema professionistico americano il rivale più pericoloso ce l'ha in casa: si chiama Ncaa, ed è lo sport universitario. «Per molti americani la squadra del cuore non è quella professionistica, per cui si ha magari una forte simpatia. Il team per cui si fanno trasferte di 500-600 chilometri è quello dell'ateneo dove si è studiato. Quando a Indiana giocano i nostri Hoosiers del basket o anche nel calcio, arriva gente da tutto lo Stato!», dice orgoglioso Fratianni. «Nel basket abbiamo una grande squadra, allenata per decenni da un santone come Bobby Knight, con cui abbiamo vinto 3 titoli; e anche nel calcio andiamo fortissimo: qui di titoli Ncaa ne abbiamo vinti addirittura sette!».

Passione a basso costo – E il pubblico che ne dice? «Il nostro palazzo dello sport, che ha circa 17mila posti, è sempre esaurito, è i biglietti costano poco, con agevolazioni per gli studenti». Insomma, se crollano Nfl, Nba e le leghe del baseball e dell'hockey, tutti a guardare i campionati universitari? «È una possibilità – conclude il professor Fratianni – ma più probabile che, di fronte a una crisi, ci possa essere una selezione naturale degli sport: i più forti sopravvivono, pur con minori risorse; gli altri vengono almeno temporaneamente abbandonati dal grande pubblico». Insomma, pur con l'occhio al portafoglio, nessuno potrà mai smettere di sperare in un touch-down o sognare un fuoricampo.

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