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di Guido Romeo

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22 gennaio 2009

Nei prossimi anni scopriremo un cielo molto diverso da quello che pensavamo conoscere. La prossima generazione di telescopi, di cui oggi si sviluppano i prototipi, è un vero e proprio salto quantico rispetto a ciò che abbiamo visto finora. «L'incremento di potenza che otterremo nel prossimo decennio, ad esempio passando dagli attuali specchi di 20 metri di diametro a quello da 42 metri dello European extremely large telescope è paragonabile, e per certi versi superiore, a quello che sperimentò Galileo quattro secoli fa passando dalla sensibilità dell'occhio umano a quella del suo telescopio dotato di una lente di tre centimetri di diametro» osserva Roberto Gilmozzi, principal investigator del megatelescopio europeo dell'Eso da 1,2 miliardi di euro che qualche settimana fa è entrato nella fase B di disegno avanzato con un costo di 60 milioni.

Destinato a raccogliere i primi fotoni nel 2018 dalle Canarie o dal Cile (la sede è ancora in discussione), il grande occhio europeo è una versione ridotta dell'ancor più ambizioso progetto Owl (Overwhelming large telescope), ma sembra comunque destinato a rendere rapidamente obsoleti molti dei concorrenti. La sua forza non sta solo nella grandezza dello specchio e quindi nella quantità di luce che può raccogliere, ma anche nella maggior risoluzione garantita dalle ottiche adattive, un sistema di specchi che permette di ricomporre la distorsione prodotta dall'atmosfera terrestre, ricca di gas e acqua, sui raggi luminosi. «Con questo strumento entreremo in una nuova fase di scoperta – sottolinea l'astrofisica Margherita Hack, professore emerito presso l'Università di Trieste – perché potremo osservare con precisione anche lo spostamento dei corpi più lontani della Terra, trovando nuove misure per quell'energia oscura scoperta con Hubble e che spinge l'Universo a espandersi, ma per la quale non sappiamo ancora trovare una spiegazione, ma anche scoprendo nuovi pianeti simili alla Terra».
Oggi si conoscono circa 280 pianeti extrasolari, quasi tutti di dimensioni molto più grandi del nostro, scoperti indirettamente, osservando l'influenza prodotta dalla loro massa sulla stella intorno alla quale orbitano. «Con strumenti come Eelt potremo finalmente non solo avvistare direttamente anche pianeti più piccoli e meno luminosi, simili al nostro – osserva Gilmozzi –, ma anche studiarne la composizione attraverso l'analisi spettrometrica, fino a identificare la presenza di acqua o di altre molecole coinvolte nella vita». Obiettivi ambiziosi, ma che sicuramente non avverranno solo grazie all'Eelt.

Le grandi scoperte, come già è successo per il glorioso telescopio spaziale Hubble, che si prepara ad andare in pensione, sono infatti sempre il risultato di una sinergia tra strumenti che lavorano in bande di radiazione differenti. Il compagno di strada di Hubble è stato spesso il Vlt (Very large telescope) dell'Eso, che ha permesso di confermare la scoperta dell'energia oscura. Analogamente Eelt sembra destinato a dialogare con il nuovo telescopio americano, il James Webb space telescope da 4,5 miliardi di euro. Diversamente da Hubble, sensibile agli ultravioletti e alla luce visibile, il Jwst promette di fornire dal 2013 le migliori rilevazioni possibili nel campo delle radiazioni infrarosse, ma la sua costruzione è già una sfida senza precedenti. Invece che in orbita a 500 chilometri sopra le nostre teste come l'Hubble, il nuovo telescopio sarà collocato a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, esattamente nel punto di Lagrange dove le forze di attrazione da parte del nostro Pianeta e del Sole si equivalgono. Una scelta che permetterà al Jswt di restare fisso in un punto e non venir disturbato dalla rotazione terrestre ed evitare surriscaldamenti, ma che lo mette fuori portata da qualsiasi riparazione. Le passeggiate spaziali che abbiamo visto per le riparazioni di Hubble sono decisamente fuori questione a quelle distanze e tutto, in quello che è già stato battezzato come l'ammiraglia della prossima generazione di telescopi spaziali, dovrà funzionare perfettamente.

Un altro sguardo importantissimo sul nostro Universo arriverà dal Large synoptic survey telescope, che dovrebbe aprire i battenti dopo il 2013 sul Cerro Pachon, in Cile, per confrontare fino a 10mila immagini della stessa porzione di cielo alla ricerca di quelle stelle e galassie che, viste dalla Terra, ci appaiono due volte a causa della distorsione della luce provocata dalla forza gravitazionale. Un vero fiume di dati elettronici che sarà reso disponibile a tutti, comprese le scuole e i non addetti ai lavori, attraverso internet. Lsst svolgerà però anche un vero e proprio ruolo di pattuglia spaziale per tener d'occhio in tempo reale quegli asteroidi minori e più difficili da identificare per tempo che, per quanto non in grado di distruggere il Pianeta, potrebbero radere facilmente al suolo una città.
Talmente ambizioso che non ha ancora un tetto di spesa né un luogo, è invece un altro compagno di Eelt, lo Square kilometer array, un progetto per realizzare una matrice di 1500 radioantenne del diametro di circa 12 metri distribuite su un territorio di 3000 chilometri di diametro. Tra i capofila del progetto, che potrebbe vedere il completamento nel 2020, l'Inaf italiano, che mira a coinvolgere in primis le grandi aziende. Lo sviluppo di un sistema di antenne così vasto da non avere precedenti presuppone infatti la messa a punto di nuove tecnologie e le risoluzioni di problemi molto interessanti per l'industria delle telecomunicazioni e quindi suscettibile di spin-off. Ska affiancherà Eelt nello studio dell'Universo più profondo e lontano nel tempo, estendendo il campo di indagine con osservazioni in tutto lo spettro della banda delle radiofrequenze.

  CONTINUA ...»

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