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di Carlo Ferri

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29 giugno 2009

Quando il 4 ottobre 1957 i sovietici ascoltarono per la prima volta il "bip-bip" dello Sputnik I e poterono confermare la corretta messa in orbita del primo satellite artificiale, nessuno immaginava che quell'evento avrebbe modificato le dinamiche di una Guerra Fredda che, da quel momento, si "giocava" non solo con strategie geo-politiche bensì con quelle tecnologiche. La risposta statunitense, infatti, non si fece attendere e, in meno di 4 mesi, venne lanciato con successo il primo veicolo statunitense capace di solcare lo spazio: l'Explorer I. L'incarico fu affidato a James A. Van Allen il quale ebbe la grande intuizione di montare a bordo del satellite un contatore Geiger in grado di misurare i livelli di radioattività nell'atmosfera. Il risultato fu la scoperta di due regioni separate e localizzate a quote che variano tra qualche centinaia e migliaia di chilometri da terra e che avvolgono completamente il nostro pianeta. Entrambe sono formate principalmente da raggi cosmici (principalmente protoni di alta energia) provenienti da ogni direzione dello spazio e da ioni di idrogeno ed elio trasportati dal vento solare. Catturate dal nostro pianeta, queste particelle vengono canalizzate lungo le linee del suo campo magnetico, rimanendo intrappolate proprio sulle nostre teste. Eppure il loro costante movimento le fa urtare tra loro producendo una radiazione di alta energia centinaia di volte superiore a quella registrata sulla Terra. Chiamate in onore all'autore della scoperta, le fasce di radiazione di Van Allen possono compromettere le apparecchiature elettroniche a bordo dei satelliti così come la sopravvivenza di esseri umani in viaggio nello spazio, provocando tumori, alterazioni genetiche, danni al sistema nervoso centrale e altre malattie.

Oggi più che mai lo studio dei pericoli presenti nello spazio continua a destare grande interesse nel settore aerospaziale, soprattutto in vista di una futura missione a Marte. Dal 1990 ESA e NASA portano avanti la missione Ulysses allo scopo di monitorare l'attività del vento solare, ma anche di capire il suo effetto sugli esploratori dello spazio e sulla miriade di satelliti che orbitano il nostro pianeta. Il suo più grande successo è stato rivelare che l'influenza del campo magnetico solare sull'intero sistema planetario è molto più complesso di quanto ci si aspettasse. Ma anche che le particelle espulse dall'equatore solare possono salire fino alle alte latitudini e ritrovarsi da un momento all'altro nello spazio interplanetario, spinti dalle tempeste solari. Prima del lancio di Ulysses, infatti, nessuno considerava il Sole come una sorgente di particelle nocive per gli astronauti che, nello spazio, non godono della protezione esercitata dall'atmosfera terrestre sugli esseri umani.

Tuttavia, la missione di Ulysses sembra essere arrivata al capolinea dal momento che le due agenzie spaziali hanno deciso - di comune accordo - di porre finalmente termine all'esperienza di un satellite che è risultato essere tra i più longevi e produttivi della storia. Sebbene continuerà ad orbitare intorno al Sole, il satellite presto diventerà l'ennesimo relitto dell'era spaziale. L'ultima comunicazione radio con la Terra è prevista per il pomeriggio del 30 giugno e da quel momento in poi Ulysses sarà abbandonato in balia delle tempeste solari, proprio come il naufrago - nonché suo omonimo - protagonista dell'Odissea.

29 giugno 2009
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