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Distribuzione moderna, fuga dal web

di Pino Fondati

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Il rapporto dell'Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano mette a nudo la presenza molto marginale della distribuzione moderna, alimentare e non alimentare, nelle attività di e-commerce. In ambito alimentare, lo scenario è decisamente negativo: l'88% delle aziende non ha avviato alcun progetto per la vendita online. Solo il 12% delle insegne ha un sito di commercio elettronico, addirittura in numero minore rispetto a cinque anni fa, cosa che sottolinea un'amara verità: molte realtà hanno desistito. Di fatto, l'unica insegna che gioca un ruolo importante è Esselunga, che continua a fare comparto da sola, assicurandosi più dei due terzi delle vendite online del comparto grocery (47-48 dei 60 milioni di euro) e diventando una best practice esemplare. Un'avventura iniziata nel 2000, con il progetto "clicca il pomodoro", che ha migliorato negli anni la qualità del servizio, la copertura territoriale, le sinergie con la catena fisica. Il modello logistico è misto, avvalendosi di un magazzino dedicato all'e-commerce a Milano, e dei punti vendita nelle aree in cui la densità è più ridotta.
A corollario, alcune interessanti iniziative locali, come Prontospesa, Spesaonline, Basko. Prontospesa, che dal 2000 affianca il canale online al supermercato Crai di Torino, ha raggiunto nel 2008 mille ordini, 24 ordini al giorno, per un valore medio cadauno di 120 euro. Spesaonline, che fa capo al gruppo Despar, serve gran parte della Lombardia, lavorando sinergicamente col canale tradizionale; il fatturato delle vendite online è stato di 1,4 milioni di euro, per 3000 clienti circa. A Roma, Unicoop Tirreno (presente nella capitale con due Ipercoop, cinque supermercati e oltre 200 mila soci) propone il servizio di e-commerce da 8 anni. Si chiama "La spesa che non pesa", viene effettuata collegandosi al portale www.e-coop.it, senza vincoli di orario e scegliendo il giorno e l'ora di consegna a domicilio. È un servizio riservato a chi vive all'interno del grande raccordo anulare; in particolare, i disabili non pagano alcun costo per la consegna. Nel 2008 le spese tramite e-commerce sono state più di 16 mila a Roma (8% in più rispetto al 2007), gli acquirenti mensili sono 1034 (più 12%) di cui 6% disabili. Nel 2009 è previsto un fatturato di circa 1,6 milioni di euro, pari a un incremento del 4% rispetto al 2008.
Questo è il quadro. Purtroppo, non ci sono segnali all'orizzonte di un cambiamento nel breve. Alla base il vizio di fondo di molta parte dell'e-commerce italiano: una forte limitazione di offerta, che rende difficile attirare consumatori e creare quindi quella massa critica che sola può rendere economicamente conveniente la consegna a domicilio, le forti resistenze culturali degli stessi consumatori, la frammentazione territoriale. Più confortante è lo scenario della distribuzione moderna in ambito non alimentare: il 27% delle insegne ha un sito di commercio elettronico, più del doppio rispetto al 2003, anche se in molti casi si tratta ancora di iniziative sperimentali, come ad esempio Coin, Ikea, laFeltrinelli, Mercatone Uno) e di diverse case moda presenti anche nel canale fisico con negozi monomarca (Armani, Diesel, Valentino, Stone Island, Prada, Gucci, Louis Vuitton). Per i ricercatori della School of Management è decisivo che la distribuzione moderna giochi seriamente la partita del commercio elettronico. In mancanza, come dimostra l'esperienza all'estero, non si raggiungono due obiettivi fondamentali: da una parte, la crescita di fiducia del consumatore verso l'e-commerce, che può essere enormemente rafforzata dalla presenza online delle insegne e dei marchi di riferimento, dall'altra, la capacità di sfruttare al massimo le sinergie tra il canale fisico e il canale online.

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