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Le sette chiavi per aprire il futuro

di Gerard Bonnot

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1 Economia: muore il nazionalismo
Forse è banale dire che il telefono, la televisione, i viaggi in aereo hanno rimpicciolito il globo. Tutti portano gli stessi jeans, ascoltano la stessa musica, applaudono agli stessi idoli. Bisogna avere il coraggio di trarne le conseguenze. Anche per uno strumento così tradizionali e per una tecnologia così rudimentale come il falcetto, sono state abolite le frontiere. Il mercato di questo utensile infatti è dominato da un industriale viennese, discendente da una famiglia di artigiani che aveva cominciato l' attività nel XII secolo. Oggi le lame sono fabbricate in Austria, i manici in Svezia e il tutto è messo insieme nella Costa d' Avorio e nella Nuova Guinea, vicino alla clientela più numerosa. Ma, in questo modo, il falcetto diventa un prodotto migliore e meno caro. Si è creduto che le differenze di salario tra Paesi ricchi e Paesi poveri avrebbero creato nuove barriere. E invece sono proprio queste barriere che stanno cadendo. "Quando occorrevano una dozzina di ore per assemblare un televisore, il Giapponese aveva su di noi un vantaggio decisivo", racconta un industriale europeo. "Adesso che sono sufficienti appena due ore il costo della manodopera non entra più nel conto". Ciò che importa, invece, è avere le migliori macchine, i prodotti più affidabili, pratici e originali. Il saperli fare e il farlo sapere. I politici che affermano di voler riconquistare il mercato interno assomigliano a Don Chisciotte. Si battono contro dei mulini a vento. Il mercato interno, o ciò che ne resta, si restringe ogni giorno: è il prezzo, la condizione dello sviluppo. Oggi l' unico modo di salvare e di rinforzare l' industria non è quello di chiuderla nei suoi particolarismi ma di aprirla ai grandi spazi. I giapponesi lo hanno capito. Quando hanno deciso dopo la guerra di diventare una grande potenza industriale, non hanno cercato di imporre i loro gusti al resto del mondo. Hanno cominciato, invece a copiare pazientemente gli apparecchi fotografici tedeschi, le vetture europee, l' elettronica americana. Ogni volta cercando però di fare meglio.

2 La fine delle università
Dai tempi di Carlo Magno il modello non è cambiato. Si prende un bambino, gli si ficca nella testa con le buone o con le cattive ogni conoscenza disponibile, poi lo si butta nella vita. Saranno affari suoi utilizzare queste conoscenze nel momento e nella misura in cui ne avrà bisogno. Purtroppo, da allora, il bagaglio della conoscenza è cresciuto molto più in fretta della capacità di assimilarlo. Con una pubertà più precoce e con la maggior età a 18 anni, oggi gli studi continuano ad allungarsi. Non è più possibile cominciare a lavorare prima dei 25 anni, addirittura prima dei 30 per gli specialisti di alto livello. Nell' età in cui il cervello è più fecondo, la nostra società, prigioniera di una concezione superata dell' insegnamento, si incaponisce a mantenere i suoi futuri dirigenti in una interminabile ed inutile adolescenza. E non stupisce che gli studenti si scoraggino davanti a questa montagna di sapere teorico, che sono condannati a scalare senza mai goderne l' uso. Soprattutto perchè sanno benissimo che il contenuto del loro sapere sarà ormai scaduto il giorno in cui lo potranno riversare nella professione e nella vita. I diplomi più prestigiosi, oggi, perdono il loto valore in appena cinque anni, se non si è potuto, prima, metterli a frutto. Non si tratta di fare il processo alla scuola. Bisognerà pure, anche domani, imparare a leggere e a scrivere, a contare, a rispettare le regole della vita in società. In un mondo sempre più astratto, sottomesso all' impero di sistemi di segni sempre più complessi, cresce continuamente per la necessità di disciplinare la propria attenzione, di esercitare la memoria, di dominare le idee. Ma è ora di capire la differenza tra questa formazione di base e l' acquisizione delle conoscenze. La vera memoria dell' umanità, memoria viva, continuamente aggiornata, è la banca dati, alla quale ciascuno potrà presto attingere per risolvere o problemi che gli si presentano davanti. Il futuro appartiene agli studi brevi. Appena la formazione secondaria è terminata, si comincia a imparare un mestiere per potersi lanciare il più presto possibile nella vita attiva. Si avrà tutto il tempo, in seguito, di perfezionarsi, di approfondire, di progredire. E' per questo che si moltiplicano gli "stage" di formazione e i seminari. Ma allora, perchè non cominciare subito? Si guadagnerebbero tempo ed esperienza. Qualcuno potrebbe obiettare che la scienza ha bisogno di teorici e che bisogna formarli subito senza perder tempo. In fondo, le più grandi scoperte matematiche sono state tutte fatte da cervelli non ancora trentenni. Ma non tutti sono portati per le speculazioni teoriche. Occorre un temperamento particolare. Perchè non selezionare, allora, i bambini che sono più dotati e non inviarli in scuole speciali, come già si fa per la musica, senza che nessuno ci trovi nulla di male?

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