Non bastava dire al portinaio: «È arrivata la stagione delle prugne!». Bisognava ribadire al cameriere: «Porto trine dal Belgio». E concludere con il valletto: «Madame Bertrand sta bene». Solo così si poteva arrivare al lussuoso appartamento dove Honoré de Balzac viveva in fuga incessante dai creditori. Per nulla scoraggiato dalle ingombranti pendenze, lo scrittore continuava a vivere da signore e a dimenticarsi di pagare l'affitto. Balzac sosteneva di saper riconoscere la tipica scampanellata del creditore. In quei casi tutta la casa cadeva in un silenzio rotto solo dai passi dell'importuno che si allontanava deluso. A volte però quelle precauzioni non bastavano e Honoré si trovava costretto a fuggire da una scala segreta sul retro. Un espediente seccante che oltre tutto, si lamentava, lo costringeva a sentire gli effluvi emananti dagli alloggi della servitù. Balzac d'altronde era un habitué dei debiti, contratti fin dall'inizio della sua difficile carriera. Una volta solo la generosità di un'amante, la contessa Guidoboni-Visconti, che aveva saldato i suoi debiti all'istante, l'aveva salvato dalla polizia che aveva fatto irruzione da lei per arrestarlo. Quella di non pagare i debiti era un'abitudine elegante, molto diffusa nell'aristocrazia del Settecento. Persino il marchese de Sade era finito in carcere una volta tanto non per i soliti reati sessuali, ma per debiti. Una maledizione che lo avrebbe inseguito per tutta la vita, spingendolo a una produzione instancabile quanto piccante.
Trovando troppo bassa la diaria del padre, il giovane Stendhal annunciava: «Sarò costretto a fare dei debiti». Una minaccia subito messa in atto per persuadere la controparte di quanto fosse cara la vita a Parigi. Salvo indignarsi quando il genitore, morendo, lo lasciò pieno di debiti. L'amore per il lusso e l'esigenza di non distrarsi col lavoro spinsero Stendhal a contrarne altri che lo seguirono fino a quando morì, come si augurava il dandy Roger de Beauvoir, «indebitato e alla moda».
Mentre tuonava contro Napoleone, René de Chateaubriand brigava discretamente per farsi pagare i numerosi debiti dal despota. «La mia difficoltà, ribatteva l'imperatore, non è comprare Chateaubriand, ma pagarlo quanto pensa di valere». Alla fine però qualcuno, probabilmente proprio l'usurpatore, lo salvò. Ma quella dei debiti per Chateaubriand era un'abitudine. D'altronde un altro visconte, Alfred de Musset, sosteneva: «Un gentiluomo senza debiti non potrebbe presentarsi nei salotti. Non mi è mai venuto in mente di stare senza debiti».
La generosità e la distrazione di Dumas padre erano fatte per moltiplicare i debiti. Mentre veniva costruito, il suo castello di Montecristo, così chiamato in onore del celebre romanzo, crollava già sotto i debiti e fu necessario venderlo ancora prima della fine. Quando Victor Hugo andò in esilio a Bruxelles arrivò a fargli compagnia l'irruente Dumas anche lui in esilio, ma per debiti. Un'abitudine, o un vizio, perpetuata da Dumas figlio, incapace di rinunciare a una vita sfarzosa al di sopra delle sue possibilità. La dispendiosità del giovane Charles Baudelaire era tale che la famiglia prima tentò di recuperarlo imbarcandolo in una crociera forzata per le Indie, poi, vista l'inutilità dell'impresa, pensò bene di metterlo sotto tutela di un notaio molto parsimonioso. Tormentato dai debiti, il poeta scrisse un divertente saggio, Come pagare i propri debiti quando si ha del genio, un omaggio a un celebre dissipatore, l'amico Balzac e alla sua arte di fare fantasiosamente fronte alle cambiali più minacciose.
Mentre scriveva la storia di madame Bovary, che si suicida non solo per le delusioni, ma soprattutto per i debiti, Gustave Flaubert non sapeva che anche a lui sarebbe toccata una sorte simile. Infatti si rovinò per salvare dal fallimento la sua frivola nipote. La separazione dei beni non bastò a salvare Willy e Colette né dalla crisi matrimoniale, né da quella economica. E fu per cercare di tamponarla che la scrittrice salì sul palcoscenico mostrandosi scandalosamente a seno nudo.
Nelle lunghe mani sottili della fascinosa Louise de Vilmorin qualsiasi somma si volatilizzava. «Il denaro mi rovina!», protestava la sciagurata. La verità è che le piaceva far debiti, mettere alla prova amanti, parenti e amici. Se una cognata le prestava un gioiello per una serata, il mattino dopo era capace di metterlo al Monte di Pietà. «Faccio una gran vita da rovinata, il che richiede molti mezzi». A Louise piaceva lamentarsi di essere senza un soldo. Sosteneva di cercare mariti o amanti ricchi. «Sono prodiga, ma ho il gusto del possesso. Detesto i begli oggetti che non mi appartengono».
Non era da meno il suo eterno ammiratore, Antoine de Saint-Exupéry. Incapace della minima economia, trovava naturale che il suo cameriere russo facesse la spesa in taxi. «Il denaro – sosteneva Drieu La Rochelle – deve circolare, passare di mano in mano. Chi ne ha lo dà a chi non ne ha».