Benché sia stato per settimane in testa alle classifiche, l' ultimo film di Stanley Kubrick, ebreo americano trapiantato in Inghilterra, forse il piu' grande uomo di cinema di questo scorcio di secolo, non ha incontrato neppure questa volta un favore incondizionato: ne dalla critica (e quando mai Kubrick lo ebbe subito?), ne tra gli "intenditori". Ma, si sa. A duecento anni dalla prima del Don Giovanni e' facile gridare al genio. Piu' difficile e' avere con il genio un rapporto accettabile quando viene a mettersi proprio sotto il nostro naso. Eppure la perfezione formale di Full Metal Jacket e' scritta in ogni inquadratura solo un cieco puo' non vederla. Perfezione, s' intende, in rapporto al contenuto: come in ogni vera opera d' arte. Perfezione non gratificante, qui, neppure per un attimo. Come non lo e' , neppure per un attimo, la colonna sonora di Abigail Mead: che non avrebbe senso, per l' appunto, ascoltare per trarne un piacere "sensuale", indipendente dalla visione del film. Ma potrebbe essere diversamente? Il contenuto, qui, e' il mestiere, il desiderio, la paura, la volutta' di uccidere questa particolare variante del "mestiere di vivere". Certo, chi ama, e come non amarlo, Barry lindon, dove ogni inquadratura, ogni nota della colonna sonora e' bellezza, e sia pure dolorosa bellezza: certo, chi ammira, e come non ammirarla, la maestria con cui Shining racconta una storia, una storia significativa, esemplare, un vero mito moderno: certo, chi rimase sbalordito, e come non esserlo, alla carica innovativa di Odissea nello spazio certo, egli puo' , deve sentirne la mancanza in un film che e' anche, che deve essere una tortura. Un film dal quale chi ha cuore esce, deve uscire strisciando un film che una donna ha visto mormorandosi di continuo (l' episodio e' vero): , per riuscire a sopportarlo fino alla fine. Eppure egli scoprira' , alla seconda o alla terza volta (come si puo' vedere una sola volta un capolavoro?), anche la bellezza (un' altra bellezza). Anche la storia (un' altra storia). Anche la carica innovativa ma cosi' dissimulata da non essere piu' "gratificante": neppure "intellettualmente". Per qualcuno puo' essere irritante che il "messaggio" non sia immediatamente evidente. Ma in una vera opera d' arte lo e' mai? E' mai univoco? Il messaggio, uno degli infiniti messaggi compatibili con l' unita' di contenuto e forma che e' l' opera d' arte, nasce solo con il lavoro attivo, di mente e di cuore, dell' interprete. Che davanti a un film e' lo spettatore, poiche il cinema non richiede, come la musica, un interprete-esecutore per arrivare al pubblico. Un lavoro che richiede tempo e fatica, e in questo caso e' molto doloroso. Ma alcuni dei possibili messaggi sono immediatamente evidenti. Qualche esempio. Si puo' , in otto settimane, trasformare un ragazzo qualunque in un killer: ma bisogna fare come fa vedere il film. La violenza verbale, soprattutto l' urlo, e' strettamente correlata alla violenza fisica. Chi non viene maltrattato ingiustamente non puo' diventare cattivo, e quindi killer. A certe condizioni uccidere non e' meglio che essere uccisi (esattamente il contrario di quel che pensa il protagonista, e dice la voce fuori campo, di fronte ai cadaveri della fossa comune: ). Un giovane maschio puo' andare per un anno a uccidere i gooks, i musi gialli, senza averne motivo (o meglio, determinato da inconsci motivi interiori, non da razionali motivi esterni certo non dall' ): ma nel suo universo le donne potranno essere soltanto madri, sorelle o puttane. Qualcuno puo' ritenere un limite che questo regista, che dice che vorrebbe fare un film di sole immagini e suoni, e poi soppesa ogni parola della sceneggiatura (si serve di collaboratori, ma e' lui a decidere), non inventi mai le sue storie, ma le ricavi sempre da libri. Ma Shakespeare o Sofocle inventavano forse le loro storie? In Amleto e in Edipo re non c' e' un fatto che non sia gia' contenuto nel mito, o nella cronaca di Saxo Grammaticus. E' come pretendere che Kubrick componga le musiche della colonna sonora, invece di limitarsi a metterle insieme. Se potesse, lo farebbe, credo, ben volentieri. Ma non si puo' fare tutto. Kubrick, dicono gli attori, e' un grande direttore di attori ma non un attore. L' opera non e' meno sua perche egli ha solo scelto e non e' Haendel o Abigail Mead, Jack Nicholson o Matthew Modine: e' nel montaggio (la fase del suo lavoro da lui considerata maggiormente creativa) che il film diventa veramente suo. Perche Kubrick si ispira per i suoi film sia alla buona sia alla "cattiva" letteratura? Benedetto Croce toglierebbe di mezzo il problema dicendo che la storia dell' opera e' irrilevante per la storia della "poesia", cioe' dei valori estetici. Ma l' approccio indiretto all' opera d' arte serve come una specie di ingresso di servizio: permette di sondarne la complessita' senza ottusamente pretendere di appiattirla "spiegandola". Nel cinema, arte onirica per eccellenza, l' immagine e' tutto, d' accordo. Ma anche il cinema e' , direbbe Wagner, un Wort-Ton-Drama sceneggiatura, recitazione e colonna sonora costituiscono e accompagnano l' immagine. Q uesti elementi formano nell' opera un' unita' indissolubile, ma nessun lavoro critico, nessun approfondimento e' possibile senza provvisoriamente isolarli, senza esaminarli con pazienza uno per uno. Il punto di vista qui soltanto sfiorato _ il rapporto tra il film e il libro da cui esso e' "tratto", cioe' il lavoro di Stanley Kubrick per trasformare in materia cinematografica, e poi sceneggiatura vera e propria, i libri che l' hanno ispirato a creare _ e' deliberatamente marginale ma non per questo e' futile. E' inutile pretendere troppo. Full Metal Jacket (ottobre 1987) si ispira al breve romanzo The Short-Timers di Gustav Hasford (1979), da poco apparso da Bompiani, nella traduzione di Pier Francesco Paolini, con il titolo Nato per uccidere. Shining (The Shining, 1980) e' tratto dall' omonimo romanzo di Stephen King (tradotto da Bompiani), Barry Lindon (1975) dall' omonimo romanzo di William Makepeace Thackeray, lo scrittore inglese dell' Ottocento, Arancia meccanica (A Clockmork Orange, 1971) dall' omonimo racconto di Anthony Burgess (ottima la traduzione italiana di Floriana Bossi per Einaudi). 2001: Odissea nello spazio e' un caso a se. Lo spunto e' nato da un bel racconto di Arthur Clarke, La sentinella (1949) Kubrick ne ha scritto la sceneggiatura con lo stesso Clarke, il quale, piu' o meno in contemporanea con l' uscita del film, pubblico' il libro omonimo, che ne e' "il romanzo". Un' opera fallita tanto quanto il film e' un capolavoro, perche sciaguratamente pretende di "spiegare" tutti gli elementi che nel film "non si capiscono": che sono, cioe' , ambigui, aperti, o semplicemente inspiegabili, o aperti a diverse spiegazioni. Un libro o da leggere solo per curiosita' : per vedere quanto la "stessa" storia possa essere geniale all' interno di un medium (per il quale e' stata pensata) e stupida all' interno di un altro. E' facile notare che Kubrick si ispira a buoni libri, come i testi di Burgess e di Thackeray (il libro di maggior valore letterario da lui accostato e' probabilmente Lolita e il film, per il quale ottenne la collaborazione dello stesso Nabokov, non sfigura davvero), ma anche a opere da relegare, letterariamente parlando, nei gironi del brutto (King, Hasford). E che egli trasforma gli uni e gli altri con identica liberta' , cambiando tutto cio' che e' necessario e nulla che non sia necessario. Un racconto, naturalmente, non puo' diventare dramma (e il cinema, nonostante tutto, lo e' , sia pure in senso nuovo) senza subire un processo di concentrazione: come ben sapevano i Greci. Che sia un capolavoro letterario oppure no, questo processo non cambia. Questa circostanza, anzi, e' quasi del tutto irrilevante per il regista: per lui la "storia" e' un materiale, esattamente come lo sono gli attori scritturati, gli sfondi paesistici non ancora filmati, i costumi o le musiche non rielaborate in colonna sonora. Non e' detto che un libro "migliore" sia possibile modificarlo di meno. La scena del duello fra il protagonista e il giovane Lord Bullingdon _ una delle piu' emozionanti che siano mai state girate _ non c' e' nel romanzo di Thackeray, Kubrick l' ha inventa di sana pianta. Nel film e' il momento della verita' . Il finale di Shining e' completamente diverso da quello, assai banale, del romanzo. (Non per nulla King, autore di cassetta che evidentemente non ha il rapporto facile con il genio: ma nessuno di noi lo ha, ha detto che gli sarebbe piaciuto farsi Shining a modo suo. Poveri noi|). In compenso gli elementi che funzionano sono ripresi alla lettera. In ogni film di Kubrick ci sono, spesso pronunciate dalla voce fuori campo, alcune citazioni testuali. Ma il nuovo contesto ne ha fatto qualcosa di completamente diverso: sono ormai parte di un tutto significante che non puo' essere paragonato, se non in un senso del tutto esteriore, all' opera da cui provengono. Il "materiale" e' diventato carne e sangue di un' altra opera. L a tempestiva traduzione di Short-Timers (sono i soldati "a ferma breve": volontari, in Usa non c' e' coscrizione obbligatoria) permette di seguire da vicino questa rielaborazione. Nato per uccidere (il titolo italiano riprende, opportunamente, la scritta Born to kill che il protagonista porta, insieme al distintivo pacifista, sull' elmetto) e' il racconto in prima persona del soldato Joker, short-timer in Vietnam nel 1968: l' anno dell' offensiva del Tet. In realta' il suo nome, James T. Davis, compare una sola volta, in un ordine di servizio: fin dai primi giorni le reclute ricevono, per lo piu' dal sergente, un soprannome (il suo e' Joker, burlone). Il nome "borghese" si perde subito, come i capelli lunghi. Joker e' un marine, ma anche un corrispondente di guerra, come il suo creatore: Gustav Hasford ha scritto al fronte questo suo primo breve romanzo (180 pagine), tra un articolo e l' altro per la Prima Divisione Marines. Il libro non ha valore letterario ma ha un alto "valore di verita' ", che ha attirato il regista (l' arte e' pure un modo, difficile, doloroso e complicato, di cercare la verita' , direbbe Conrad, uno scrittore molto kubrickiano), il quale lo innalzato al valore assoluto della verita' d' arte. Attraverso un meticoloso lavoro di documentazione (come sempre). Le prime 30 pagine sono dedicate all' addestramento. In otto settimane, nel campo di Parris Island, qualunque ragazzo americano, ne bravo ne cattivo, ne intelligente ne stupido (magistrale la scena della rasatura, che precede i titoli di testa: facce normali, pulite) _ come noi o i nostri figli (maschi) _ puo' , se regge alla cura del sergente Gerheim, diventare un marine: cioe' un uccisore, un killer. Leonard Pratt, (nel film sara' un ciccione), subito soprannominato "marmittone" dal sergente (Gomer Pyle: un personaggio dei fumetti e della TV che in America tutti conoscono), diventa lo zimbello, il capro espiatorio di cui la camerata ha assoluto bisogno. Per unirsi "contro" un nemico, per proiettare su di lui tutte le sue debolezze, per sfogare tutto l' odio, tutta la frustrazione accumulata ogni giorno di ). Per essere unita dal delitto comune. Gomer Pyle , ma . Continua a combinare pasticci. Lo domera' il rito del pestaggio collettivo: di notte, da parte di tutta la camerata, Joker compreso. Da quel momento non parla piu' con nessuno, se con il suo fucile. Diventa la recluta modello del plotone, e a fine corso . Avuta la nomina, durante l' ultima notte di permanenza a Parris Island, e' un marine ormai, si porta in camerata il fucile carico (pallottole blindate 7,62: soprannominate "camicia di ferro", Full Metal Jacket), urla, si sveglia e accorre il sergente, fa per strapparglielo. grida Leonard. <E' soltanto l? amo| Io mia|(ogni recluta doveva dare al fucile ). E lo uccide. Poi si siede e si spara in bocca. Joker, il suo amico Cowboy (un texano) e gli altri ritornano in branda. Trenta pagine, ed e' la sola "storia". Il resto, il Vietnam, nella giungla (soprattutto) e' un susseguirsi di scene raccapriccianti. Joker alla fine da' il colpo di grazia all' amico Cowboy e diventa caposquadra. C' e' Animal Mother, un gigante sanguinario, bianco c' e' Alice, un gigante nero che si porta sempre dietro, in un sacchetto di plastica, i piedi dei Vietcong uccisi dal reparto, e fa da battistrada (<"Alice|". Il battistrada e' a terra. Le grosse mani nere son serrate intorno alla coscia destra. In terra, intorno a lui, giacciono una dozzina di piedi gooks, in putrefazione>) e tanti altri. Ma la scrittura non tiene e la traduzione (va detto, molto difficile) a volte aiuta per la scesa. E' "materia" di verita' : quindi falsa, perche in un libro non c' e' verita' senza buona letteratura. Kubrick, concentrandosi su due episodi, la storia di Leonard e una sola imboscata (nella citta' di Hue distrutta, anziche nella giungla come nel libro) ne ha tratto un film piu' vero, piu' grande (non, riduttivamente, "piu' antimilitarista") di Orizzonti di gloria, quello sulla guerra di trincea. T utto avviene in tempo reale. Le pallottole, che sono vere, fanno male, ci mettono, a trapassarti, lo stesso tempo che ci metterebbe una vera pallottola. Nessuna accelerazione (come nelle comiche: qui c' e' poco da ridere). Uccidere non e' facile, ci vuole il suo tempo, ma nemmeno morire e' facile, ci vuole il suo tempo, e fa male. Cowboy, che muore tra le braccia dell' amico Joker (non e' tutto brutto: l' amicizia e' vera), e lo prova. Nessuno dei particolari raccapriccianti, certo storicamente veri, e' passato dal libro al film. Neppure uno. Alice, nel film, e' un personaggio positivo: coraggioso leale, non aggressivo con i camerati umano, quasi amichevole con la giovane puttana vietnamita. Doc, il portantino, si sacrifica, senza speranza, per soccorrerlo. Neppure Animal e' "cattivo", nel film (nel libro lo e' moltissimo). Tanto meno Cowboy (che nel film _ non nel libro _ ha molta paura). Joker e' indefinibile. Distaccato, indifferente, addirittura cinico? Molto infelice, o solo intelligente? Umano, il piu' umano, e percio' il piu' indefinibile: ecco tutto.