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Con Harry tra ironia e dramma

di Giovanni Pacchiano

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18 febbraio 2001

Eccoci arrivati alla quarta, attesissima puntata della saga magica per ragazzi (ma solo per ragazzi?) dell'inglese J.K. Rowling, dedicata alle avventure di Harry Potter: Harry Potter e il Calice di Fuoco. Un romanzo molto più lungo dei precedenti: la bellezza di 624 pagine nell'edizione italiana da un paio di giorni in libreria. Ma vediamo di spiegarci l'esplosione della Potter-manìa: dal momento che, dalla saga del quattordicenne piccolo mago, risultano esser stati venduti nel mondo, in quattro anni, sessanta milioni di copie. Può senz'altro risiedere, la fortuna di Harry Potter, anche nella moda più generale del serial, in letteratura come in tivù. Prospettandosi in esso, con maggior energia che altrove, una componente primaria della fruizione. Dal momento che si legge narrativa, così come si guarda un film (soprattutto, ma non esclusivamente, in età adolescente), non soltanto per il puro piacere del divertimento o dell'evasione, ma, anche e specialmente, per il desiderio profondo di incorporazione. Garantendo, dunque, nello specifico, il genere seriale, ampia e continua provvista di "cibo", destinata a offrire il rifornimento alla nostra fame. Mentre, in più, la saga di Harry Potter utilizza un altro punto di forza, che crediamo essere la maggior componente del suo enorme successo. Saturando due bisogni in apparenza opposti e importanti dell'adolescente di oggi (ma vorremmo ancora ribadire: e non solo). Con il massimo del fantastico - e un fuoco d'artificio di trovate meravigliosi: draghi terribili, materializzazioni e smaterializzazioni di persone, penne prendiappunti che scrivono da sole - unito al massimo del quotidiano. La vicenda si svolge, infatti, in gran parte, in una scuola, anzi, un College inglese. Con i riti giornalieri delle lezioni (ma che lezioni: Erbologia, Incantesimi, Pozioni, Difesa contro le Arti Oscure, Trasfigurazione!). Con gli screzi e con i rancori fra studenti, le amicizie e le simpatie (sono ancora, qui, con Harry, gli amici del cuore, Ron e Hermione), gli innamoramenti, le burle. Una scuola, perciò tutta particolare, la Scuola di Magia di Hogwarts. Invisibile ai "babbani", ovvero ai non-maghi: collocata nei ruderi abbandonati di un castello. Sa alternare con destrezza, J.K. Rowling, i tempi forti e i tempi deboli del narrare. A partire dall'inizio, parecchio captativo, del romanzo. Dove, a guisa di prologo, siamo messi di fronte a una scena che ricorda, per affinità di ambienti e atmosfere, il meglio della vecchia narrativa fantasy inglese a cavallo dei due secoli: così il grande Machen di I tre impostori come il Blackwood di John Silence, investigatore. Una grande casa disabitata e sinistra; con un vecchio guardiano-giardiniere che, una notte, vede brillare delle luci. Una camera con camino acceso e tre orrende presenze: una voce crudele, senza volto e senza corpo, che proviene da una poltrona; un ometto sgraziato e servile dal lungo mantello nero; un orrendo serpente "lungo almeno quattro metri", acciambellato sul tappeto. E il guardiano, prima di morire di una morte atroce, saprà che anche su un ragazzo a lui sconosciuto, un certo Harry Potter, incombe una fine terribile, progettata dal mostruoso trio... É l'entrata in campo, in grande stile, del nemico di sempre di Harry, il mago Voldemort, signore del male. Contornato dal tema della lotta senza quartiere fra il ragazzo Harry, già dotato di poteri da grande mago, e il malefico Voldemort, l'assassino dei suoi genitori, dopo questa apertura in vigoroso battere il romanzo si distende in scene di vita quotidiana. Raccontano - non senza qualche lungaggine - le vacanze di Harry dagli insopportabili zii "babbani" e dall'altrettanto insopportabile cugino, il grassone Dudley. Procedendo e ripigliando ritmo con la giornata della coppa del mondo di Quidditch: una sorta di calcio giocato per aria, su scope volanti e con palline e un boccino, di fronte a una platea di centomila maghi e streghe. Episodio che si chiude con la comparsa in cielo del tremendo <Marchio Nero>, il segno di Voldemort, fra il panico generale. E puntando, infine, verso il lungo nucleo tematico che è la parte più notevole del libro: il <Torneo Tre maghi>, riservato a tre Scuole di magia - di cui una, appunto, l'ospitante Hogwarts - e a un campione per ognuna. Sorteggiato il suo nome da un <Calice di Fuoco> che sputa tre diverse pergamene. Cui aggiunge, a sorpresa, il nome di Harry; che era stato ritenuto troppo giovane per accedere al sorteggio. Non sarà, più che un privilegio soprannaturale, una trappola del disgustoso Voldemort? Lo sapremo alla fine della storia. Che la Rowling conduce con molta e più divertita ironia rispetto agli altri volumi. Indugiando, quasi dickensianamente, su caratteri e debolezze del personaggio, prof. compresi. Naturale che il nostro eroe se la cavi; soddisfatto da morire chi scrive queste righe (e così, crediamo, anche i lettori).

J.K. Rowling, Harry Potter e il Calice di Fuoco
illustrazione di Serena Riglietti, traduzione di Beatrice Masini
Salani, Milano 2001, pagg. 624, L. 32.000.

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