Dopo tante speranze deluse, finalmente l'anziana signora Enid Lambert realizza il suo sogno. <Per un ultimo Natale>, riunisce i tre figli sparsi per il mondo, nel villaggio di St. Jude, un puntino sulla mappa del Midwest, dove vive da sempre in compagnia del marito, Alfred, ingegnere in pensione che il morbo di Parkinson sta riducendo a un oggetto, uno dei tanti che stipano la casa. Le 600 pagine del romanzo Le correzioni, firmato da un giovane e semisconosciuto scrittore del Missouri, Jonathan Franzen, in uscita da Einaudi, corrono verso questa scena madre, in cui tutta la famiglia si ritrova attorno al tavolo. Per l'occasione Enid ha tirato fuori la tovaglia di lino e al centro ha sistemato una composizione di pigne, agrifoglio bianco e verde, candele rosse e campanelle d'argento. Fuori fa freddo e la distesa di neve rende più vibrante la luce della prateria che circonda la villetta.
Sembrerebbe una delle tante saghe edificanti e sdolcinate di cui è costellata la letteratura americana. Invece no. Il libro avvince proprio perché il quarantaduenne Franzen racconta la storia di questo microcosmo scomponendolo in particelle e ricomponendolo in un quadro d'insieme con un distacco a volte quasi caustico. Quando si ha l'impressione che il nucleo familiare stia per ricompattarsi, fa tornare indietro la moviola verso un clima teso, conflittuale. E viceversa. Operazione ardua, ma l'autore ha superato l'ostacolo intrecciando con maestria i sentimenti, le emozioni, le gioie e i dolori della famiglia Lambert in uno stile sorprendente, una scrittura multipla e sfaccettata. Senza nulla togliere al piacere del ritmo narrativo, Franzen inventa un linguaggio allusivo che attinge al mondo dell'economia e della scienza.
I difficili rapporti all'interno della famiglia (con il vecchio Al alla deriva, una madre isterica e tre figli sbandati, Gary, Denise, e Chip) vengono monitorati con gli stessi termini con i quali si analizzano le turbolenze del mercato azionario. Nell'universo lillipuziano di St. Jude, la vita è un gioco di debiti e crediti. Riflettendo sul proprio matrimonio, per esempio, Gary pensa che ormai l'amore è privo di "fondi" e non basta a coprire il "costo emotivo" richiesto alla moglie per accompagnarlo a St. Jude. E, alla fine della lettura, si capisce anche il senso di quel titolo di per sé poco invitante: Le correzioni. Correzione è il termine tecnico che definisce il processo per cui un mercato finanziario sopravvalutato torna a scendere a livelli più realistici e viene spesso usato come eufemismo per significare depressione fiscale, autoillusione e perdita. Senza correzioni, col pater familias che viaggia solitario in un labirinto di allucinazioni, anche gli altri componenti del microcosmo finirebbero col precipitare nel baratro di un'infelicità senza ritorno. Pur nella diversità dei caratteri e dei ruoli sociali, la depressione è l'eredità da incubo che i fratelli Lambert temono di aver ricevuto. Su questo piano Franzen dà il meglio di sé. Combinando il gergo economico con parole del lessico chimico-neurologico, descrive con esattezza stati d'animo che non si rivelano molto lontani dal disordine della struttura familiare odierna. E qui sta forse il segreto del successo internazionale di un romanzo scritto da un outsider che disdegna gli effetti speciali del best-seller.
Nell'esuberante carosello linguistico non c'è autocompiacimento. Le storie scorrono fluide come su un grande schermo retrostante e quasi invisibile. Inavvertitamente, come gli spifferi gelidi che filtrano nella casa di St. Jude, il Grande Mondo del Fuori si insinua nel Piccolo Mondo del Dentro e trasforma il dettaglio corpuscolare in qualcosa che, nel bene e nel male, attira il lettore e lo cattura in una rete di storie di ordinaria ansietà. Storie che, pur in una trama lineare, si dipanano in un groviglio di episodi. Fin troppi. Alcuni, come l'avventura di Chip, il fratello più fragile, in una Lituania post-sovietica, violenta e mafiosa, appaiono digressioni superflue e poco plausibili. Oltre al talento, tuttavia, un merito va riconosciuto a questa neonata star della letteratura americana: l'ostinazione.
Sei anni fa, dopo due prove giovanili passate sotto silenzio (la prima, La ventisettesima città, 1988, sarà riproposta da Einaudi dopo un'uscita poco felice presso Mondadori), Franzen scrisse un articolo su "Harper's". Iniziava sostenendo la tesi che <il grande romanzo socialmente impegnato> era morto, soppresso dai media, e continuava pronosticando che anche i migliori romanzieri postmoderni, come Thomas Pynchon e Don De Lillo, sarebbero presto stati emarginati. Come uscire da questa impasse?, si chiedeva sconsolato. Ma, a quel punto, lasciava aperto uno spiraglio: <Bisogna riuscire a legare il personale e il sociale>. Con una postilla: il suo terzo romanzo si stava muovendo proprio in quella direzione. Sarebbe stato <intimo, socialmente coinvolto e trascinante>. Una sfida ambiziosa, una provocazione. L'establishment letterario reagì snobbandolo oppure accusandolo di mitomania. Ma Jonathan non si arrese. Si trasferì a New York, si rinchiuse in un appartamentino di Harlem isolato acusticamente e si gettò a capofitto nell'impresa. Scrisse e riscrisse. Giorni, anni, combattendo la paura, i dubbi e l'insonnia a sorsi di vodka. Alla fine, però, ha vinto la scommessa. Don De Lillo, uno degli idoli di cui paventava il crollo, ha definito il suo libro <un romanzo formidabile>. Hollywood si è già accaparrata i diritti.
Jonathan Franzen, Le correzioni
Einaudi, Torino 2002
pagg. 600, 19,00