Al giro di boa arriva il terzo italiano, Marco Bechis, a risollevare una situazione non proprio rosea, visto il disastro Ozpetek e l'altalenante Avati. Il suo "Birdwatchers - La terra degli uomini rossi", è un viaggio in quella terra di confine in cui gli indios sono stati confinati, in riserve- lager che li spingono alla disperazione, all'alcolismo e il suicidio. Interesse nato dalle parole di un amico e dalla passione per la storia e la situazione sudamericana (suoi "Garage Olimpo" e "Hijos", film belli e durissimi sui desaparecidos argentini), Bechis è andato al confine tra Brasile e Paraguay per un film duro e intenso sulla loro vera situazione. Cinema del reale in cui gli stessi indios recitano se stessi, raccontandosi in una dolorosa rivolta contro il proprio fazendeiro. «Ho voluto - racconta il cineasta- incrementare la curiosità nei loro confronti, hanno molto da insegnarci e mostrarci». L'opera che esce in sala il 2 settembre in Italia e a dicembre in Brasile è la prima vera indagine sullo stile di vita e sul dramma dei suicidi ricorrenti negli adolescenti indios. «Non mi faccio illusioni, ormai mi conoscono in Sud America come quello che va a scoperchiare verità e fatti che tutti amano nascondere. Non mi aspetto ondate di pubblico e sono scettico sul fatto che qualcosa possa cambiare per questo popolo: lo strapotere economico di chi vuole questo stato di cose muove troppi interessi, lo stesso Lula, come sempre più spesso gli accade, non può né vuole fare nulla. Eppure basterebbe dar loro solo il 20% della foresta». Già, perché il loro dramma è lo stesso degli indiani d'America: riconquistare la loro terra, la loro foresta, quella strappatagli con inganni e violenza, quella che amano e abitano da secoli e che lo sfruttamento economico dei fazendeiri (col termine si definiscono i proprietari semischiavisti brasiliani, dai piccoli ai latifondisti che arrivano a possedere fino a 700.000 ettari, praticamente una regione italiana). Nel film anche Claudio Santamaria e Chiara Caselli, un guardiano-spaventapasseri paraguagio e la moglie del padrone italo-brasiliana, guida per turisti birdwatchers. «Mi ha colpito il rapporto che loro hanno con il mondo - ha dichiarato l'attore - il modo di starci e di rispettarlo. Se sapessimo farlo anche noi, con tutti i nostri strumenti e conoscenze renderemmo questo mondo molto migliore. Lo dico senza retorica». «Mi ha colpito molto come ci siano certe cose che si ripetano - ha aggiunto l'attrice - Per interpretare la fazendeira ne ho frequentate alcune e una, in confidenza, mi fa: questi qui diventeranno sempre di più, visto come si riproducono, e saranno la maggioranza. Le stesse cose che si dicono sugli animali e che sentiamo anche qui in Italia. E gli indios sono lo 0,3% della popolazione! E' stata un'esperienza incredibile con un regista straordinario». Presenti molti degli attori indios, hanno approfittato del palcoscenico veneziano per ribadire le loro richieste, tra lacrime e anche tanta grinta. «La nostra presenza qui è una grande speranza – ha affermato Eliane Juca Da Silva- noi non abbiamo più foresta e noi ne abbiamo bisogno per cacciare e pescare. Siamo essere umani come voi, utilizziamo i vostri stessi vestiti, possiamo fare anche gli attori come qualsiasi altra cosa, se solo ci fosse permesso avere i vostri mezzi e opportunità. E invece i nostri capi religiosi non hanno neanche gli spazi per pregare. Ci credono invasori, ma noi vogliamo solo la nostra terra». Quel Mato Grosso (Brasile) bellissimo e disastrato, terra che i suoi Guarani-Kaiowa hanno provato a riprendersi, guidati da Ambrosio Vilhalva (Nadio nel film) e da un giovanissimo sciamano. E' il primo, capo non solo carismatico, a inchiodare la società alle sue responsabilità. «I Brasiliani riescono a vederci solo come pigri e suicidi. Ma è durissima per un ragazzo scoprire di non avere un futuro oppure andare a scuola e vedere che non avrà mai le stesse opportunità dei suoi compagni».