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Avati, vado oltre la cronaca nera

di Emanuele Bigi

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1 settembre 2008
Il regista Pupi Avati

Pupi Avati ama particolarmente questa storia, gli ricorda la sua Bologna, l'infanzia, il suo rapporto con l'amore, per la donna e i figli. "Il papà di Giovanna", il secondo film italiano in concorso a Venezia, pur raccontando una storia tragica, lontana anni luce dalla vita del regista, esprime i mille volti del mondo di Avati.

Lei amava questo film ancor prima di essere selezionato a Venezia, che cosa la lega?
Si tratta di un film inquietante, la vita mi ha risparmiato un evento così drammatico, ma nel contempo ho interpretato il ruolo di padre per tre volte. Ho due figli e una figlia, una situazione ben diversa dal personaggio di Alba Rohrwacher, ma chi non ha avuto difficoltà nel periodo adolescenziale? In questo film ho riversato tutto quello che conosco, il bene e il male, della figura paterna.

Anche qui incontriamo il tema dell'amore. Che rapporto ha con esso?
L'amore e l'amicizia per me sono sinonimi, li chiamo i rumori di fondo di quasi tutti i miei film.
In realtà sono un immaturo in molti ambiti malgrado i miei settant'anni, e dunque anche in ambito affettivo. Sono nato nel 1938, forse per questo considero le donne come qualcosa di misterioso, tra me e loro non c'è stato un lento avvicinamento ma, all'improvviso, quelle donne, che i signori della mia generazione sentivamo lontane, sono diventate le nostre mogli. Da parte mia e dei coetanei c'è una sorta di diffidenza, non siamo in grado di emanciparci. Lo so, è un limite culturale che riconosco. Non saprei essere amico di una donna.

Mai?
Ci ho provato ma la mia confidenza non è stata apprezzata, allora ho ripreso a recitare il ruolo del maschio. I miei confidenti speciali erano gli amici.

Nel film si parla, oltre che di un rapporto ossessivo tra padre e figlia, anche di omicidio, c'è un qualche legame con la cronaca nera di oggi?
Sì, volevo andare oltre il taccuino del giornalista e i telegiornali, mi interessava capire cosa succede nei contesti famigliari, qual è il rapporto tra questi genitori e questi figli. Mi sono affidato alla mia creatività e ai miei sentimenti di padre. Mi sono commosso durante la scrittura. I media non possono dire che cosa succede nei nuclei famigliari, allora l'ho ipotizzato. Ovviamente mi sono contenuto, non parlo di una strage come Novi Ligure, piuttosto di una storia che poteva essere suggerita dalla mia immaginazione.

Lo sfondo storico, raccontato in pillole, sfiora il fascismo, i bombardamenti a Bologna, il momento della liberazione. Come ha affrontato questa scena della fucilazione.
Il fascismo funge da colonna sonora della storia non volevo introdurre degli stereotipi già presenti in un certo cinema civile, non rientravano nella mia esperienza di vita. Quegli anni li ho vissuti, ho dei ricordi precisi di quel periodo a Bologna: il rifugio anti bombe, la nostra casa, la nascita di un bambino proprio nel rifugio, la morte di mia zia. Sono tutti elementi che fanno parte di un calvario, di un succedersi di eventi riconducibili a un'epoca precisa. È nella verità storica che sono esistite forme sbrigative di rendicontazione delle nefandezze compiute dai fascisti. Non mi sembra il caso di fare un processo su una scena che è del tutto attendibile.

In un'altra scena invece Giovanna incontra la madre della vittima per chiederle perdono, ma quel dialogo è solo accennato, per caso lo aveva scritto?
Anche nella sceneggiatura non c'era nulla di più, non so cosa avrebbe detto Giovanna, sentiamo molto bene che la madre non la perdona; e condivido la sua posizione; anch'io, in quella situazione mi sarei comportato allo stesso modo.

Alba Rorhwaker ha superato l'esame d'attrice, una performance spesso giocata sugli sguardi. Come l'ha condotta nel mondo della pazzia?
Nelle mie sceneggiature c'è molto di più rispetto al film, gli attori ricevono una serie di informazioni tali da aiutarli nel loro cammino. Quanto agli sguardi di Alba in effetti caratterizzano il personaggio. Considero punto di svolta della vicenda quando Michele si rende conto della pazzia della figlia, seppur dopo la confessione non sia ancora convinto. Dopo quel momento gli sguardi diventano più lunghi, si fermano davanti alla macchina da presa. Gli sguardi non sono casuali sono dettati da una riflessione.

Sembra che le sfide siano il suo forte. Prima ha scelto Vanessa Incontrada ne "Il cuore altrove", poi Katia Ricciarelli ne "La seconda notte di nozze", ora Ezio Greggio, per la prima volta in un ruolo drammatico.
È da "Il testimone dello sposo" che vogliamo lavorare insieme, ma in ogni film non avevo la parte giusta per lui, questa volta ho scritto il personaggio di Sergio proprio su di lui. Gli ho cucito addosso un abito su misura.

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