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LA NOTTE DEL 20 LUGLIO 1969

Perché oggi miriamo in basso

di Remo Bodei

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19 luglio 2009

Il titolo del film di Umberto Scarpelli Gli uomini non guardano il cielo, del 1952, potrebbe applicarsi allo scarso interesse che il pubblico ormai dimostra per le imprese spaziali. Sembra, infatti, essersi conclusa una fase in cui la conquista dello spazio era generalmente vissuta come un'avventura coinvolgente, che suscitava l'appassionata partecipazione di larghi settori dell'umanità. In un alternarsi di tragedie e successi, questo stato d'animo si era imposto tra il lancio dello Sputnik, nell'ottobre del 1957, e l'ultimo allunaggio dell'Apollo 17, nel dicembre del 1972. Da allora né il cielo stellato sopra di noi (reso meno visibile dall'inquinamento luminoso), né i programmi di conquista dello spazio siderale (ridimensionati, dapprima, dai costi esorbitanti e dalla frequenza degli incidenti e, in seguito, dagli investimenti nello scudo spaziale e dalla fine della Guerra fredda) attirano più una speciale attenzione.
Di sonde interplanetarie su Marte o in viaggio oltre il sistema solare continuiamo indubbiamente ad avere notizie, ma alla maniera di quelli che Zygmunt Bauman chiama global bywatchers, persone che le ricevono attutite, mescolate e "frullate" tra tante altre informazioni e, soprattutto, prive di quella carica emotiva che tenne svegli i nostri coetanei la notte tra il 20 e il 21 luglio del 1969. Problemi più urgenti ci legano oggi maggiormente alle vicende del nostro pianeta, ci rendono più orientati a mirare in basso piuttosto che in alto, a essere più assillati dall'economia e dalla politica che dai pianeti o dalle galassie. Ha perduto una parte consistente del suo fascino l'atteggiamento che aveva fatto rivivere, in nuove forme, il pathos di poeti come Lucrezio o Leopardi, capaci di incastonare le vicende umane in quelle dell'intero universo, di inserire la vita di ciascuno in una più vasta e inquietante drammaturgia cosmica. Di conseguenza, la propensione ad appoggiare attivamente la titanica volontà di esplorare il cosmo pare non godere più dell'appoggio massiccio di individui abituati a fruire pigramente dei documentari della National Geographic Society o ad aggregarsi ai viaggi, comodi e prevedibili, del turismo organizzato.
Uno dei motivi di questo cambiamento di umore è dovuto al fatto che, nei confronti della natura più vicina a noi, siamo spesso colti da un inedito sentimento di pietà e di colpa.
Viva l'irriverenza! Non c'è al mondo qualcuno più cattivo degli inglesi, quando si tratta di prendere in giro le "sacre" istituzione della patria. Ricordate la comicità al vetriolo dei Monty Python? Un fulgido esempio per tutti: e qualcosa di quella perfidia rimane anche in St. Trinian's di Oliver Parker e Barnaby Thompson. Oggetto della satira è una scuola per sole fanciulle. Ma che scuola... se non son matte non le vogliamo, potrebbe essere il motto dell'istituto. La sede è una grande magione del passato, nel bel mezzo della verde campagna inglese (che college sarebbe, sennò?), con una direttrice-padrona pazza scatenata, oberata dai debiti. Ed è lì che finisce l'ingenua protagonista, nipote della proprietaria. L'iniziazione è delle più tremende, ma la ragazzina fa alla svelta ad abituarsi. Anzi, diventa una delle cape, pronta a una "mission impossible" che manco Tom Cruise ci proverebbe: "prelevare" dalla National Gallery un celebre dipinto del Vermeer, per poi chiedere il riscatto e pagare così i debiti. Nel frullatore finiscono un rampante ministro dell'istruzione, una trasmissione tv, un college "per bene" e molti altri intoccabili. Tutti, ovviamente, messi alla berlina senza pietà. Yes, they can.

19 luglio 2009
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