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Festival Cinema Venezia 2009: recensioni film, interviste

 
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Venezia: Guadagnino batte l'Herzog bis e Chéreau

di Boris Sollazzo

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5 settembre 2009

Molti sostenevano che questo festival cominciasse a parlare troppo italiano, risultasse provinciale e claustrofobico. E se è vero che è un pericolo reale, va detto che la risposta dei film italiani sono state decisamente migliori rispetto al recente passato. Io sono l'amore di Luca Guadagnino, duro, elegante e raffinato ritratto dell'alta borghesia italiana è il miglior film del talentuoso cineasta, e forse la cosa migliore, insieme a Todd Solondz e Videocracy, vista finora. Grande delusione, invece, da Patrice Chéreau e dal bis di Herzog (era suo il film a sorpresa: nella storia recente del festival non si ricorda un regista con due film in concorso) decisamente al di sotto dei loro livelli abituali.

Persécution- Concorso
La battuta viene facile, ma che la premessa e la promessa del film fosse già nel titolo, ma indirizzata allo spettatore, non ce l'aspettavamo. Forse perché Chéreau, il regista di Intimacy, è uno che pur non avendo le stimmate del genio ha stile e abilità, forse perché Romain Duris, un moderno Belmondo che ancora non abbiamo scoperto in tutto il suo talento, è un eccellente attore e qui si trovava con una compagna degna di lui, l'ottima Charlotte Gainsbourg. La storia ci parla di border-line dei sentimenti: Romain ha un cantiere, è fragile e ruvido, è vittima e carnefice di una doppia ossessione, Charlotte è sfuggente, autonoma, impossibilitata a vivere davvero un amore che le toglierebbe troppo di se stessa, o che forse le ha dato troppo. Il primo peraltro ha anche un amico depresso e un uomo che fin dall'inizio lo perseguita, devastato da un colpo di fulmine in metropolitana. Gli entra in casa, nel garage, nel letto. Ma soprattutto nella vita e nell'anima: e Romain da perseguitato si scopre forse persecutore, non così diverso dal suo "nemico" che diverrà, alla fine, confidente. Una pellicola lenta, che arranca su stereotipi e malinconie, tra immagini statiche e dialoghi troppo melodrammatici, una messa in scena vecchia e mai audace. Chéreau ci perseguita con la noia e la tristezza disperata di chi scopre che, forse, l'ossessione potrebbe essere la forma più alta e pura d'amore. Un gioco emotivo ed estetico a cui non si crede mai e che a volte strappa sorrisi involontari. Da dimenticare, come gli amori sbagliati.
Voto: 4

My son, My son, What have ye done- Concorso
Certi film sembrano fatti apposta per allietare la maratona (piacevole, per carità) che i critici affrontano qui al Lido. Alcuni, quando sono così brutti da apparire involontariamente comici, creano capannelli alla fine della proiezione. E si gioca alla migliore battuta, anche per stemperare la tensione: la migliore sul secondo film di Werner Herzog in concorso l'ha fatta Francesco Alò, critico de Il Messaggero: "Dopo il cattivo tenente, Herzog ha fatto il cattivo demente". Sarcasmo giustificato, perché il povero Michael Shannon è costretto di nuovo, dopo il bellissimo ruolo in Revolutionary Road (il suo genio matematico matto meritava l'oscar come migliore non protagonista), a tornare nei panni di un uomo che ha perso l'equilibrio psichico, sopraffatto da un mondo cinico e troppo duro per le sue sensibilità.
Una bella storia, un gran cast (Chloe Sevigny è la sua fidanzata, Udo Kier il suo maestro di teatro, Willem Defoe un ispettore che cercherà di impedirgli un gesto estremo), penalizzati da un film sbagliato e parossistico, fin dalla colonna sonora troppo bizzarra persino per il cineasta bavarese. Tra cori greci, spade, polli giganti, fenicotteri dai nomi importanti (gli animali rimangono la grande ossessione del regista), un omicidio e un possibile sequestro, ripercorriamo l'ultimo anno di un uomo travolto da una lucida pazzia. Tra rafting suicidi in Perù e voci interne, passando per un dio che lui trova in una scatola di cibo dietetico, seguiamo i flash-back affettati e insopportabili alternati a una realtà surreale in cui Shannon tiene in scacco polizia, Swat e le persone che ama (tutto nasce da un matricidio che molti definirebbero sacrosanto). Il suo Brad, per quanto si sforzi, è un personaggio scritto male, sempre ai limiti del ridicolo. Molti, noi compresi, amano Herzog per la forza e il coraggio che ha nel rompere tutti gli schemi. Spesso però esagera. Questo è il caso.
Voto: 3

Io sono l'amore-Orizzonti
Che film. Luca Guadagnino di talento ne ha da vendere, lo vedemmo in Protagonists, presentato proprio qui a Venezia (era un ragazzo prodigio che già spaccò critica e pubblico), poi passò per l'ottimo documentario Mundo civilizado e arrivò al clamoroso successo commerciale di Melissa P. Deluse molti dei suoi estimatori allora, ma non il pubblico con un film provocatorio che scontava, forse, soprattutto la base di un libro non abbastanza solido. Io sono l'amore è il suo banco di prova.
Promosso a pieni voti l'eclettico Luca, con il suo film più bello, profondo, allo stesso tempo vibrante e trattenuto, in cui anche i suoi vizi e vezzi sono ridotti al minimo termine, quasi fossero una vanitosa firma e non, come prima, un'invadente dimostrazione di bravura. Ritrae una famiglia dell'alta borghesia milanese: il patriarca padrone di fabbrica (Gabriele Ferzetti), il figlio e delfino Tancredi (Pippo Delbono, eccellente), la sua bella e aristocratica moglie russa (la premio Oscar Tilda Swinton, attrice feticcio di Guadagnino, mai così bella e raramente così brava), i figli (Flavio Parenti, Alba Rohrwacher, Mattia Zaccaro). E attorno a loro si muove un universo-satellite, un cuoco-contadino (autocitazione del gustoso documentario Cuoco contadino, in tutto e per tutto) che entrerà pesantemente nelle loro vita (Edoardo Gabbriellini), la bella fidanzata del primogenito (Diane Fleri).
  CONTINUA ...»

5 settembre 2009
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