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Festival Cinema Venezia 2009: recensioni film, interviste

 
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Il signor Nessuno di Van Dormael, l'amore secondo Tom Ford, l'horror 3D "dantesco"

di Boris Sollazzo

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11 settembre 2009
MR. NOBODY. (da sin.) il regista Jaco Van Dormael , Jared Leto, Sarah Polley, Linh-Dan Pham e Diane Kruger, in posa durante il photo call al termine della conferenza stampa del film "Mr. Nobody", presentato in concorso oggi 11 settembre 2009, nella 66. ma edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, al Lido di Venezia dal 2 al 12 settembre 2009. ANSA

Più variegata e complessa la penultima giornata di questo festival di Venezia, che ieri ha dovuto sopportare persino il passaggio di Noemi Letizia e Milingo, non poteva essere. Attesissimo il kolossal del genio belga Jaco Van Dormael, che dopo la delusione de L'ottavo giorno e tredici anni di lavoro (e 70 milioni di euro), ci regala Mr. Nobody, toccante, immaginifico ritratto frammentato di vite parallele. Tom Ford, ovviamente elegantissimo sulla passerella come sullo schermo, spinge sul melò gay e con un ottimo Colin Firth e un'opera sfacciatamente estetizzante come A single man fa sperare in un premio. Un gioco anni '80, divertito e divertente, infine, l'horror per famiglie The Hole di sua maestà Joe Dante, in gran forma e pronto a dar battaglia come giurato.

Mr. Nobody- Concorso
Un avvertimento: questo film, se mai uscirà in Italia, lo odierete follemente o lo amerete visceralmente. Lo troverete un esercizio di stile lezioso o la cavalcata bizzarra e appassionata di un visionario. Tanto che la percezione critica, pur sollecitata da citazioni, riprese audaci, ottiche molteplici e un alto livello tecnico, dagli effetti speciali alle scenografie passando per l'ottima fotografia e una musica molto presente (originale e di repertorio: Ella Fitzgerald, Otis Redding, Buddy Holly, Eurythmics, Pixies, ma la chicca è la cult 99 Luftballoons), fa fatica a farsi largo, investita da un'emotività e da un'esperienza sensoriale unica. Tutto nasce da un bambino di 9 anni e dal principio dell'entropia, del disordine organizzato. Forse. Oppure da un vecchio di 117 anni protagonista di un reality cinico, ultimo vecchio in un mondo quasi immortale. Quattro vite: un addetto alle piscine che ama la sua ex sorellastra (Diane Kruger), un ex sfigato ora ricco borghese insoddisfatto, ma con piscina, un dirigente di una ditta di fotocopiatrici con moglie depressa (Sarah Polley) e un anziano narratore in un mondo futuribile con giornalista rompiscatole. Quattro in uno, per dare a Jared Leto il ruolo della vita (ora è in pole position per la Coppa Volpi) e alla mente iperattiva di Van Dormael modo di sfogare al meglio la sua arte cinematografica e cinefilia (nel film c'è 2001: Odissea nello spazio, Sliding Doors, Piccolo grande uomo, Eternal Sunshine of spotless mind e molto altro), dimostrandosi autore dal talento inesauribile. La sospensione della credulità è immediata, i rivoli di una storia che è un fiume in piena spesso si contraddicono e sovrappongono, una donna sopravvive e scappa ma muore anche in un'esplosione, e noi, come quel ragazzotto imbrattacarte, ci appassioniamo costantemente a un supermelò che, come dice il divulgatore televisivo Jared Leto (altra sottotrama, ma anche il Virgilio di questo caos creativo e geniale), cerca le altre 5 dimensioni oltre le 4 già conosciute, e che forse ne trova una più forte di altre, l'amore. Materno, fisico, negato, surrogato, rimpianto, inseguito, immortale, interspaziale. Un film fantastico, come genere e come giudizio, un viaggio prezioso, una ventata di aria nuova, sebbene Lynch e Kauffman, maestri e discepoli a loro modo, si siano già scatenati a proposito. Evviva Van Dormael e il suo signor… uno, nessuno e centomila
Voto: 9

A single man- Concorso
I capitoli finali di un festival sono pericolosi: 11 giorni di cinema senza soluzione di continuità, troppi film imperfetti, deprimenti, sbagliati a intasarti la mente, l'euforia della fine che si avvicina può giocare brutti scherzi. Come l'applauso della stampa al film di Tom Ford in Sala Darsena, sconcertante per molti. Il maestro di stile, già guru di Gucci, esordisce con un melodramma gay che non ha mezzi termini, detta eleganza ma senza uno stile personale, prova a commuoverci con il "vedovo" Colin Firth e invece riesce a offrirci poco più che uno spot lungo e patinato che racchiude l'estetica pubblicitaria e non della moda degli ultimi vent'anni, scaraventata però nell'America del 1962, anno edonista e apocalittico, nel pieno del boom economico degli anni '60 ma anche alle porte di una possibile catastrofe nucleare (vedi la crisi con Cuba). Ford ci offre un'opera prima curatissima ed estetizzante, leziosa e stereotipata, sorretta da un Firth in gran forma (e che ormai parla italiano benissimo, vivendo in Toscana) e da due-tre intuizioni niente male, come il suicidio "pulito", la serata con Julianne Moore, il discorso sulla paura del professore protagonista. Troppo poco, il resto è solo la vanità di un divo che sa di essere vate del gusto moderno e che invade il cinema con un talento statico, che la macchina da presa la usa come specchio e non come lente. Sotto il vestito, è proprio il caso di dirlo, poco e niente.
Voto: 4

The hole 3D- Fuori concorso
Stupisce positivamente vedere che maestri anche abbastanza avanti con l'età, innovatori già da quasi tre decenni, non smettano di essere curiosi e pronti a nuove esperienze visive e tecniche. E così il giurato Joe Dante ci regala The hole, un horror per famiglie che usa il 3D come gioco e strumento visivo e che risulta essere efficace e divertente. Dante, vecchia volpe e talento di razza, non incorre nell'errore del cinema di genere degli ultimi anni, e non adatta alle famiglie (e alla censura di studios e affini) un'estetica splatter "normalizzandola", ma racconta una favola di paura. Un buco senza fondo in cantina, le tue paure che si materializzano, due fratelli e una bella vicina di casa come protagonisti ed esploratori. Un divertissement che sembra preso di peso dagli anni '80 (il cameo solito dell'amuleto Dick Smith qui si realizza con una pizza a domicilio) e che intrattiene con l'arte e l'artigianato di un maestro. E il 3D si presta a giochi d'immagine e alla narrazione, senza invadere il film. Un film piccolo, commerciale e di genere come dovrebbero essercene di più. Perché si può soddisfare il pubblico con professionalità e bravura, non solo con furbe scorciatoie.

11 settembre 2009
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