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I primi delitti della cristianità nell'Agora di Amenabar

di Boris Sollazzo

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17 maggio 2009
Alejandro Amenabar e Rachel Weisz, rispettivamente regista e interprete di "Agora" (Foto Afp)

Un kolossal, uno sparatutto asiatico, un film super indipendente. Sono i tris che rimangono in mano a fine giornata a Cannes. Tra fuori competizione, concorso e Quinzaine des Realisateurs ce n'è per tutti i gusti. Alejandro Amenabar, nel maestoso Agora rinfocolerà le polemiche sulle battaglie anticlericali dell'ultima ondata di cinema, Johnnie To prova a riesumare Johnny Hallyday con risultati deludenti, il giovane e irriverente Felix Van Gronigen fa scoppiare di entusiasmo e applausi il Palais Stephanie con La merditude de le chose, commedia durissima e ispirata.

Agora- Fuori competizione
Alejandro Amenabar è da anni un giovane talento del cinema, e anche adesso che lo si può definire maturo, la sua freschezza di pensiero e regia lo fanno apparire ancora una promessa, non sempre mantenuta. Eppure Apri gli occhi (da cui il remake Vanilla Sky), The others e Mare dentro sono film importanti, anche se forse sopravvalutati. A Cannes 2009 è piombato con un film quasi incosciente: un kolossal non americano su Hypatia, prima scienziata della storia, famosa per i suoi lavori matematici ed astronomici e per la sua morte tragica. Un film, insomma, ambientato nel IV secolo dopo Cristo, ad Alessandria d'Egitto. Ne esce fuori una pellicola a tratti fracassona e grossolana, ma molto più spesso, invece, femminista, laica, potente. Se infatti il biopic di questa visionaria della scienza, interpretata magnificamente da Rachel Weisz, prende il cuore, il film è incentrato su quello che la sua civiltà e la sua cultura vissero in quegli anni. Nelle persecuzioni cristiane- e dopo Angeli e demoni e il prete vampiro di Park Chan-Wook si rialzeranno gli strali delle gerarchie ecclesiastiche?- che, secondo Amenabar (ma la storia non ha mai fatto luce a fondo su questa tragedia) fecero andare perse le incredibili risorse della leggendaria biblioteca d'Alessandria, e che provocarono lo sterminio di molti pagani neoplatonici prima ed ebrei dopo. Un duro atto d'accusa contro la religione fanatica e ottusa di fronte al progresso, un poetico racconto di una vita coraggiosa e di un pezzo di storia purtroppo ancora attuale. Amenabar ci mette la sua capacità visiva (geniale la doppia velocità dall'alto sull'orda di cristiani devastatori, tragici nella loro meschinità) e un amore speciale per una storia unica. Applausi e fischi (più i primi dei secondi), il film farà discutere. E pensare che domani passa l'Anticristo. Di Lars Von Trier.

Vengeance- Concorso
Johnnie To è il profeta di un cinema asiatico di genere che sa essere divertente e nichilista come nessun altro. Grazie a questo mix improbabile ma riuscito, si è costruito una cinematografia molto particolare che ha fatto breccia persino nei cuori tradizionalisti dei direttori dei grandi festival. Ma To sembra aver ceduto all'automanierismo, confezionando con Vengeance una replica sbiadita di sé, sciatto e piatto come quel Johnny Hallyday mummificato che ormai è l'ombra di ciò che fu. La storia era anche gustosa: ex sicario-mercenario divenuto chef va a Macao (da Parigi), perché un boss che ride sempre a sproposito ha fatto massacrare genero e nipoti e ha ridotto la figlia in fin di vita. Lei, a gesti, gli chiede vendetta. Lui si associa con colleghi del posto (assassini, non cuochi) e parte alla ricerca di killer e mandante. Peccato, però, che abbia una pallottola in testa da vent'anni e che perda la memoria con facilità: per questo, alla fine, le vendette saranno due. Spara pallottole a non finire, ed è l'unica cosa in cui abbonda Johnnie To, qui sterile sia in trovate visive che di scrittura. Un gran peccato.

La merditude des choses- Quinzaine des Realisateurs
Che il cinema ci conservi e non ci liberi mai dei simpatici, geniali pazzi che l'ottimo Olivier Père ha selezionato quest'anno alla Quinzaine. Felix Van Groenigen (ma il discorso vale anche per i fratelli Safdie e il loro dolce e bello Go get some Rosemary) ha fatto quasi venir giù la sala con il suo La merditude des choses. Il libro è di Dimitri Verhulst, l'etica ed estetica da Grande Lebowski tutta sua. Grandi attori (nonna e bambino compresi) è la fotografia di una famiglia di quattro fratelli beoni e un piccolo scrittore in erba, raccontato da quest'ultimo in forma di autobiografia, alla macchina da scrivere. Tra corse ciclistiche nude e alcoliche, gag fisiche da star male (in tutti i sensi), momenti di malinconia, troviamo un'opera che sa essere completa, raccontandoci con leggerezza una storia durissima. Genitori volenterosi ma incapaci, ieri la Quinzaine se l'è presa con loro, segno di come l'originalità sia sempre di casa qui.

17 maggio 2009
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