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22 maggio 2009


Il film che non t'aspetti, snobbato da tutti o quasi. E invece è un gioiello di poesia e critica sociopolitica, il racconto di un truffatore che saprà essere più socialmente utile di governi o multinazionali. In un mondo spezzato come questo un raggio di luce, una favola vera sul precariato, prima esistenziale che lavorativo, di intere classi e generazioni. Forse è arrivato il film da Palma.


La sala esultava come la curva di uno stadio ai gol di Cantona, scelti e montati da Ken Loach con lo stesso amore con cui Kusturica trattò l'anno scorso Diego Armando Maradona. Ma questo è un film vero e maiuscolo. Campioni che palleggiano sulla Croiesette e fanno impazzire anche i cinefili.

Jacques Audiard è il re del polar scorretto e moderno del cinema francese moderno. Un romanzo criminale ambientato in un carcere, claustrofobico moralmente e materialmente. Bellissimo, ben recitato, magnificamente girato. Chapeau


Vincere piace soprattutto agli stranieri, che di solito ne capiscono più di noi (da sempre il cinema lo facciamo meglio di come lo critichiamo). Scelte coraggiose, estetica che passa dal documentario al mimetismo, non rinunciando a trovate geniali e immagini esemplari e visionarie. Un piccolo gioiello espressionista il melò futurista di Marco Bellocchio


Romanzo di formazione di una ragazza (e un'attrice) speciale, Katie Jarvis. Della regista Andrea Arnold conosciamo il talento, il resto è la capacità naturale di questa piccola interprete e una buona alchimia tra tutti. Si è urlato al capolavoro, è "solo" un ottimo film.




Park Chan-Wook si inventa un prete-vampiro nella Cannes più anticattolica degli ultimi anni. Due attori pazzeschi, una storia buffa e crudele. Geniale e perfetto, se non fosse più lungo del dovuto almeno di mezz'ora. Peccato mortale quando si ha del materiale così buono per le mani




Hypatia, filosofa, matematica e astronoma, è la prima scienziata riconosciuta dalla Storia. Faro d'Alessandria d'Egitto col padre Teone, fu messa all'angolo e uccisa dal furore del proselitismo cristiano violento e impietoso. Una storia commovente e tragica, ma stupisce di Amenabar la nobile difesa della laicità e della scienza. Non scontata in tempi oscuri come questi.


Ang Lee finalmente ride. Una commedia per raccontare Woodstock e la sua generazione, passando per un giovane nerd e gay che ha l'idea di ospitare un concerto che diverrà mito.
Grande musica, bravi interpreti, una prima parte da urlo. Poi comincia il concerto e il film finisce, si perde



Haneke tenta di fare il Bergman, e non il dio spettatore di mondi irrazionali e violenti come ci ha abituato. Tra Mann e il cineasta svedese, ruba loro etica ed estetica, perdendo il suo tocco unico. Un buon film, solido e a tratti potente, ma Michael, si sa, può fare molto di più


Una storia divertente e pure vera, due attori straordinari come Jim Carrey e Ewan McGregor, una malinconica commedia gay tra truffe e carcere. Un film di genere che non prende mai una decisione, non sa da che parte andare. Gradevole, ma discontinuo e furbetto.




Che peccato Don Pedro, siamo di quelli che credono che il nuovo millennio ti abbia portato un rinnovamento e una rinascita speciali. Il terrore è che si siano conclusi con Volver. Questo melodramma-noir malinconico e lento, sembra prendere il peggio della sua carriera. Pellicola non brutta, anzi "gentile" e visivamente anche piacevole (vedi gli omaggi al cinema), ma semplicemente inutile

Jane Campion e gli amori tragico-romantici sono un binomio inscindibile, specialmente se a costumi, corpetti e pettinature improbabili si aggiungono vip della letteratura. Un tempo Jane Austen ora John Keats. Ma il centro di tutto, ovvio, è la sua innamorata, un'Abbey Cornick bravissima. Il resto del film è come gli abiti del tempo: pieno di ghirigori inutili, piattamente classico, formale. Sotto il vestito, niente.



Il maestro Coppola qualche zampata la dà in questa saga familiare un po' autobiografica e molto confusa. Dopo tanti capolavori, il declino è inevitabile. Ci si consola con quei minuti che valgono il biglietto


Johnnie To delude, e lo fa "in casa". È più debole proprio nelle scene d'azione, nei dialoghi, nella fotografia. I suoi punti di forza qui sono sciatti ricordi. Un passaggio a vuoto, forse un eccesso di sicurezza


A Cannes non lo dice nessuno, Quentin Tarantino è uno di famiglia…ma che delusione! Del nostro amato-odiato regista rimane solo qualche scena (la sparatoria nel pub, qualche fotogramma dei vari capitoli, la "strage" finale) e la prolissa verbosità dei dialoghi, qui mai incisivi. Tarantino ai tempi del nazismo è un flop. Qualcuno si è anche addormentato.


Sophie Marceau si trasforma in Monica Bellucci. Basterebbe già questo. Ma se poi si ha una regista che si traveste da Hitchcock e Kubrick con sfumature di Kafka, si comprende la catastrofe derivante da troppa fiducia in se stesse. Povere dive.





Vergogna. Anche se cominciano a nascere e crescere i sostenitori di Lars Von Trier persino in questo film che definire criminale è un eufemismo, rimane una delle pagine più basse della storia di Cannes. Esteticamente prima ancora che eticamente. Spaccia immagini dozzinali, uno stile inesistente, una struttura-pretesto e psicologismi che nascondono pregiudizi e ossessioni personali, per geniali provocazioni. Basta.

22 maggio 2009
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