«A sangue freddo» del Teatro degli Orrori è probabilmente il miglior disco rock dell'anno. Capitanata dal cantante Pierpaolo Capovilla, a cui si devono i bellissimi testi, la band passa con naturalezza da un apocrifo e blasfemo «Padre nostro» a una rilettura di «All'amato se stesso dedica queste righe l'autore» di Majakovskij che sarebbe piaciuta a Carmelo Bene («Majakovskij»). Mentre la titletrack ricorda l'attivista e scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa, ingiustamente giustiziato dal governo dello Stato africano nel 1995. Un album dove la politica si scontra con le quotidiane difficoltà nei rapporti umani («Mai dire mai», «Direzioni diverse»). E dove i riferimenti letterari sposano malinconie notturne («Io ti aspetto», «Die Zeit») e sfoghi maudit («Il terzo mondo»). Sullo sfondo, un senso di decadenza civile e morale che sgocciola sulla vita delle persone («È colpa mia»). Dal punto di vista musicale, siamo di fronte a un lavoro più levigato rispetto allo straripante debutto «L'impero delle tenebre» (2007), pur restando fedele alla ragione sociale che nel nome richiama il «teatro della crudeltà» di Antonin Artaud. La band, composta da tre quarti di One dimensional man (oltre a Capovilla, il bassista Giulio Favero e il batterista Francesco Valente) e da un quarto di Super elastic bubble plastic (il chitarrista Gionata Mirai), scolpisce così un suono capace di coniugare rabbiosi sussulti rock e pacati romanticismi. Dando calore a un album allo stesso tempo vario e compatto, ricercato e spontaneo. Come non se ne sentivano da tempo.
Il Teatro degli Orrori, «A Sangue freddo», La tempesta Dischi