Sono il gruppo più chiacchierato del momento. Avanguardia made in Italy, from Bassano del Grappa, di un'elettronica che sta mietendo parecchie vittime fuori dai nostri confini nazionali. Un mostro ibrido che pare il frutto proibito di un incesto electro punk. Crudo come la copertina firmata dal fumettista cult Tanino Liberatore (quello di Ranxerox, per intenderci). Bloody Beetroots è sostanzialmente sinonimo di "Sir" Bob Cornelius Rifo , deejay e producer che in un paio d'anni ha sfornato una manciata di Ep («Rombo», «Cornelius», «Warp») per la label statunitense Dim Mak Records e ha visto suoi pezzi inclusi nei soundtrack di serial televisivi come «CSI» e videogame come «Need for speed» e «Fifa 09». Un consenso oltre ogni aspettativa. «Romborama» è il primo attesissimo full leight: 20 tracce (22 nella versione digitale) che miscelano palate di elettronica, suggestioni pop («Second streets have no name») e inquietudini classicheggianti («Have mercy on us»). Tante le partecipazioni più o meno note, comunque di qualità. Nomi come il "mentore" Steve Aoki (in «Warp 1.9» e «Warp 7.7») e la cantante dei Bellrays, Lisa Kekaula, la cui voce soul è al servizio della dance sgarbata di «Talkin' in my sleep». Per non parlare del "nostro" Marracash che rappa nel singolo «Come la», forse il pezzo più debole di un disco che mantiene comunque sempre alta la tensione. Quella di Bloody Beetroots è una musica eclettica e maleducata, cucita a un immaginario fumettistico dark come le maschere da Spiderman indossate da Bob Rifo e dal supporter Tommy Tea nei live. Sconsigliata agli animi tranquilli.
The Bloody Beetroots, «Romborama», Universal Music