Alzi la mano chi è riuscito a vederlo in sala. In Italia questo film angosciante, coraggioso e controverso dell'amazzone Kathryn Bigelow risale addirittura a due Festival di Venezia fa, è uscito nell'ottobre 2008 ed è passato colpevolmente sotto silenzio. In America stava per fare la stessa fine, poi critica e pubblico hanno faticosamente portato alla luce questa pellicola facendole raggiungere 18 milioni di dollari d'incasso. E a gareggiare ad armi pari (9 candidature ciascuno) con Avatar che ha incassato cento volte tanto. E, ironia della sorte e del cinema, i due sono stati anche sposati, tanto che lui, galante, si augura di accaparrarsi la statuetta per il miglior film- "per tutti quelli che ci hanno lavorato"- lasciando la miglior regia a questa donna tutta talento e carattere. Profeta di una fantascienza drogata e cupa nel cult Strange Days, la Bigelow qui piomba in Iraq, in mezzo a un gruppo scelto di artificieri. La fine è un pugno allo stomaco, l'inizio un doloroso bagno nella paranoia di chi in guerra rischia tutto, dal corpo all'anima. In fondo i due non sono così diversi: Avatar ci racconta un'invasione violenta e infame. Hurt Locker pure. Solo che il primo ce la mostra soprattutto dall'ottica degli invasi, Kathryn da quella scomoda degli invasori. E paura, dolore, follia latente ce le sentiamo addosso. Sabbia, sudore, sangue: le hanno dato della militarista, invece ci ha solo fatto vedere l'ultima guerra in Iraq (e tutte le guerre moderne) nell'ottica che noi preferiamo ignorare.