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Il riscatto di Jeff Bridges

di Marco Barbonaglia

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8 marzo 2010

Alla fine ce l'ha fatta, Jeff Bridges. Dopo quattro nomination andate a vuoto, ha vinto finalmente il suo primo Oscar. Un premio atteso a lungo, tanto che sembrava non arrivare mai. Doveva compiere sessant'anni perché l'Accademy, che per tanto tempo lo aveva snobbato preferendogli sempre qualcun altro, si accorgesse di lui. Da più parti si diceva fosse uno dei migliori attori della sua generazione e in molti considervano semplicemente un'ingiustizia la mancata consegna della statuetta . Ma lui, proprio come il "Drugo" del Grande Lebowsky, non sembrava darci troppo peso. Sornione e paziente, aspettava il suo turno come se, in fondo, non gli importasse più di tanto.
Ci voleva un film struggente, capace di parlare un linguaggio tanto radicato nella cultura americana come quello della musica country. Ci voleva una pellicola che narrasse di ascesa e caduta, quasi un The Wrestler con la chitarra. La storia di un cantante alcolizzato costretto a sfilare, fumando una sigaretta dopo l'altra, nei motel che punteggiano le sconfinate pianure degli Stati Uniti. Ma sarà l'amore per una donna, di professione giornalista, a restituirgli la voglia di ricostruire vita e carriera.
La prima nomination all'Oscar, Bridges l'aveva ottenuta quasi quarant'anni prima, nel '71, con L'ultimo spettacolo. E poi ancora, sempre come attore non protagonista, con Una calibro 20 per lo specialista del'74 e The contender del 2000. Come attore protagonista, invece, era stato candidato nell'84 con Starman e, da protagonista, ha vinto oggi con lo stesso Crazy Heart che gli aveva appena regalato un Golden Globe a gennaio.
Un premio atteso da troppo tempo che suona come un riconoscimento del posto che spetta di diritto a Jeff Bridges nel firmamento del cinema mondiale. Da oggi, ha finito di essere «il più sottovalutato grande attore della sua generazione» come lo aveva definito la critica del New York Times Janet Maslin . Un successo dedicato ai suoi genitori, con il pensiero rivolto, probabilmente, alle disavventure del padre Lloyd che finì nella lista nera della commissione McCarthy, indagato perché presunto affiliato del Partito Comunista.

8 marzo 2010
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