Il visagista delle dive è truccatissimo, cantavano Elio e le storie tese a Sanremo ne La terra dei cachi. Il truccatore de Il Divo, invece, è un uomo intelligente, pieno di talento e semplice. Uno che ha soddisfatto persino Mel Gibson e l'esigente Paolo Sorrentino, due registi profondamente diversi ma simili nel pretendere il massimo da chi lavora con loro. E così questo ragazzo, che cominciò come scultore e protesista in un laboratorio di effetti cinematografici a Londra, a soli 16 anni, per poi iniziare la sua attività a Roma, vent'anni dopo (di cui 15 di lavoro solerte al cinema) si ritrova già con due nomination all'Oscar. Un enfant prodige che si è fatto notare dal cinema che conta con Apocalypto (candidatura nel 2007) e che grazie al Giulio Andreotti che ha "plasmato" addosso a Toni Servillo ne Il Divo (gli è già valso un Davide di Donatello), ha avuto tra le mani un biglietto per il Kodak Theatre - "anche se rimango qui, ho preferito rimanere con mamma e papà"- insieme all'acconciatore Aldo Signoretti. A loro e ad Alessandro Camon (per la sceneggiatura di The Messenger, altro film Lucky Red: la casa di produzione e distribuzione di Andrea Occhipiniti è sempre più in crescita) è stato dato il compito di mantenere alto il nome del cinema italiano laddove Tornatore non ce l'ha fatta con il suo Baarìa. Sconfitti nella serata delle stelle, ma con onore. Ed è proprio Vittorio Sodano a raccontarci il suo lavoro.
Domanda banale, caro Sodano, ma alla seconda nomination all'Oscar come ci si sente?
Benissimo, un Oscar non te lo aspetti mai e lo stesso vale per la nomination. E questo ha un sapore speciale, perchè lo ottengo con un film che ho amato e amo profondamente, Il Divo. Per mesi mi sono vantato di averci lavorato, perchè consideravo il lavoro di Paolo Sorrentino eccellente e perchè ero davvero molto orgoglioso del mio contributo. Così tanto che, confesso, il film all'Academy l'ho fatto arrivare io, ritenevo che fosse necessario, altrimenti sarebbe stato difficile, vista la scarsa visibilità cinematografica italiana all'estero, che potessero scoprirlo da soli. E ho fatto bene, perchè pochi giorni dopo che la Dhl ha consegnato il film, mi ha chiamato Paul Engelman (responsabile generale dei truccatori all'Academy) che era letteralmente impazzito per il mio lavoro.
Tutto si deve, quindi, a un suo colpo di genio
Sì, senza falsa modestia lo chiamerei proprio così. Perchè per un film non americano gareggiare nelle categorie tecniche è quasi impossibile e se a questo aggiungi che in America al cinema ben pochi potevano aver visto Il Divo, il nostro lavoro rischiava di non essere apprezzato. E lo dico perchè le testate giornalistiche americane, specializzate e non, che se ne sono occupate hanno tutte dedicato parole di grande ammirazione per il trucco.
E qual è stato il suo rapporto con Toni Servillo? Il truccatore spesso diventa un incubo per il truccato. E viceversa...
Eh, visto l'ottimo lavoro un paio di crisi d'identità secondo me Toni le ha avute. A parte gli scherzi, se abbiamo fatto quest'impresa molto si deve a lui, attore e persona straordinaria, sono felice di essergli diventato amico. Il suo aiuto è stato determinante, anche se soffriva molto il trucco ed era costretto a sedute di quattro ore per metterlo su e una per toglierlo. E peraltro, sul set, c'era anche Buccirosso a cui dovevamo dedicare un paio d'ore per il suo Paolo Cirino Pomicino. Io ho cercato di essere essenziale, di tenerlo al trucco il meno possibile, per quanto potevo, di superare tutti i problemi incontrati. Penso, per esempio, alla difficoltà nella costruzione delle orecchie di Giulio Andreotti. Il punto è che ne Il Divo non volevo fare, con tutto il rispetto, un trucco alla Star Trek (con Young Victoria, suo diretto rivale per la corsa alla statuetta), ma fare un personaggio credibile e realistico.
Sembra di sentir parlare un truccatore americano
Dispiace dirlo ma una certa accuratezza e attenzione per i dettagli è un "lavoro all'americana" che va ben oltre quello modello "soap opera italiana". Se penso a tanti colleghi, oltre a me, spesso costretti a lavorare in tempi ridottissimi e senza risorse, mi viene una grande tristezza, ma questa è la situazione che si verifica più spesso. Non c'è molto attenzione, in Italia, per la cura dei particolari, per il cast tecnico. Eppure i migliori truccatori vengono dall'Italia, così come i migliori scenografi, le migliori costumiste.
Il suo lavoro ricorda molto quello del maestro Rick Baker, il genio che permise la trasformazione de Il lupo mannaro americano a Londra. Lei a chi si ispira?
Il mio mito è proprio lui. E a lui è legato un momento bellissimo per me. Alla presentazione americana del film, infatti, si è avvicinato a me alla fine della proiezione e mi ha detto "You are a real talent" con una forza e una convinzione che mi hanno colpito moltissimo. E poi ha sottolineato come fossero anni che non vedeva un trucco tanto ben fatto, specialmente senza l'ausilio del computer.
E ora, chi sarà il prossimo?
Il più grande sogno sarebbe stato ridare vita a Papa Woytila, anche se è già stato fatto in tv.