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Architetti siete voi

di Maddalena Bonaccorso

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12 aprile 2010
Architetti siete voi


Kazuyo Sejima, l'ultima vincitrice del premio Pritzker (insieme al socio Ryue Nishizawa), è l'esatto opposto dell'archistar. Non ama i giornalisti, adora lavorare con i suoi giovani collaboratori, fuma di continuo. Sarà lei la prima donna a dirigere la biennale di Venezia. Nell'attesa, ci spiega perché progetti ed edifici nascono già nella mente dei clienti: «Il nostro compito? tirarli fuori»
Una foto molto bella, incorniciata, ritrae l'architetto Kazuyo Sejima su una spiaggia. È quasi in posa e tiene in mano il modello in scala di una delle sue opere più famose: il New Museum of Contemporary Art di Manhattan. È un edificio — inaugurato nel 2007 — che probabilmente rappresenta la perfetta summa della sua concezione dell'architettura. Composto com'è da una serie di scatole bianche sovrapposte, poggiate una sull'altra con un'apparenza di svagata obliquità, l'edificio regala libertà, leggerezza, e stupore. Sono i tre momenti che l'arte di questo architetto –— tra i più innovativi del mondo — ha da sempre saputo svelare.
Kazuyo Sejima, giapponese della prefettura di Ibaraki, 54 anni, è uno scricciolo sorridente con un'energia vulcanica – a malapena celata da nipponico autocontrollo – e un'eccentrica somiglianza con i cartoni manga. È la prima donna e primo architetto giapponese a dirigere la Biennale di Architettura di Venezia che si svolgerà dal 29 agosto al 21 novembre; e il compito, si nota a primo sguardo, non poco la spaventa.
Sejima — titolare, assieme al giovane Ryue Nishizawa (suo ex praticante, poi divenuto socio) dello studio SANAA di Tokyo — per questa prima Biennale in rosa ha scelto un tema affascinante e futuribile come "People meet in architecture" che, oltre alla scontata spiegazione letterale, significa anche e soprattutto sfida di idee e di progetti per rendere l'architettura un mezzo che aiuti gli umani a relazionarsi tra loro in modo — dice lei — «significativo».
La Sejima, che è stata allieva di Toyo Ito, è la negazione dell'archistar. È una persona semplice che parla solo dopo lunghe riflessioni, e intrattiene con i media un rapporto complicato: predilige i fatti alle parole, non è succube della comunicazione. Ha, nei suoi comportamenti, uno stile antico. Tanto quanto la sua arte, al contrario, è visionaria e proiettata nel futuro. Crea spesso strutture interamente in vetro, ma ama utilizzare maglie di alluminio lucidato, per i suoi edifici. Servono a dare corpo alla luce non senza interagire con le condizioni atmosferiche e così cambiare radicalmente col sole o con il brutto tempo. Tutto è divenire, secondo la sua concezione dell'architettura. La staticità e la pesantezza sono ostacoli tra l'uomo e la possibilità di vivere lo spazio.
Sejima, lei è un architetto puro, e dirigerà questa Biennale dopo molte edizioni affidate a critici. Qual è la caratteristica del suo modo di "fare architettura" che vorrebbe trasmettere all'esposizione?
«Credo che già il tema che ho scelto, "People meet in architecture", dimostri che noi, io e miei collaboratori, stiamo pensando e ragionando come architetti puri e concreti. È questo
che vogliamo portare a Venezia, il nostro punto di vista. Iniziamo dai progetti e vorremmo costruire una Biennale riflettendo molto sul programma dei lavori, sulla loro evoluzione, e su come le persone si sentiranno, all'interno di questa esposizione. Soprattutto speriamo che i visitatori riusciranno, vivendo questa nostra Biennale, a percepire qualcosa di assolutamente nuovo sia nei riguardi dell'architettura sia — soprattutto — riguardo al rapporto con loro stessi».
Quindi l'individuo e il rapporto con lo spazio circostante, al centro di tutto. Ma può l'architettura migliorare la capacità delle persone di relazionarsi tra loro?
«Certamente. Quando parliamo di questi temi, e torniamo al filo conduttore della Biennale 2010, ci riferiamo al come le persone si sentono in spazi di tutte le dimensioni, e al loro modo di percepirli. Parliamo di spazi pubblici, o di qualunque altro spazio urbano possa essere attraversato, vissuto. In ogni caso, è tutta principalmente una questione di atmosfera. È importante che ogni singolo spazio urbano sia differente dagli altri; è importante creare un ambiente dove tutti possano sentirsi a proprio agio. Uno spazio dove possa esserci, allo stesso tempo, intimità così come apertura».
Lei è la prima donna nella storia a dirigere una Biennale. Porterà un valore diverso a questa edizione?
«Non saprei, ma non sono sicura che ci siano grandi differenze nel modo in cui una donna o un uomo esprimono loro stessi in un campo tecnico come l'architettura. Inoltre io, in generale, tendo a non pensare mai alla mia posizione di donna; la mia identità è racchiusa, è radicata nel mio lavoro».
E il suo lavoro si discosta parecchio dal senso di progettazione classico. Possiamo dire che l'arte di Sejima e dello studio SANAA poggia su un sottofondo astratto?
«Sì, è proprio così. Formalmente, la mia architettura ha proprio un background astratto. Anche perché noi proviamo sempre strenuamente a trovare l'ispirazione concentrandoci sul modo nel quale le persone usano, o vorrebbero usare, lo spazio. Proviamo a trovare e a estrapolare i progetti, i buoni punti di vista, le idee innovative che sono già nelle menti dei nostri clienti».
  CONTINUA ...»

12 aprile 2010
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