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di Alessandro Ursic

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13 gennaio 2010

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A digiuno dopo mezzogiorno
Molti puristi criticano questa versione popolarizzata di una fede profonda. Diventare monaci, dicono, è una faccenda seria e non bisognerebbe pagare per farlo. In Thailandia, diversi monasteri sono aperti agli stranieri. Ma, oltre alla barriera della lingua, è indispensabile assicurare un impegno a lungo termine; e le autorità di Bangkok, insospettite da troppe richieste di visto di aspiranti monaci che cercano solo un modo per rimanere nel Paese, hanno reso questa pratica ancora più difficile.
A giudicare da come gli abitanti di Fang contribuiscono alle raccolte mattutine delle elemosine dei novizi stranieri di Monk for a month, si direbbe che non facciano troppe distinzioni. Dopotutto, è esagerato anche idealizzare i motivi per cui molti buddisti optano per la tonaca. La maggior parte dei piccoli monaci di Fang è lì perché le famiglie sono talmente povere da non poter garantire loro i pasti o la scuola. In Thailandia, inoltre, praticamente tutti i maschi intorno ai vent'anni passano un breve periodo nel monastero. C'è chi lo farebbe comunque, ma più che altro è una prassi sociale. La chiamano buat phra, ovvero «farsi monaci per la mamma», nella credenza che così si accumulerà sufficiente merito per assicurarle un'esistenza migliore nella prossima vita. Finché non passa dal monastero, si dice, un uomo rimane acerbo, e molti lavoratori statali godono di una apposita licenza periodica.
Negli anni, poi, diversi scandali di sesso e corruzione hanno messo in crisi l'immagine pura della categoria. Ma il valore di un'esperienza monacale rimane: recentemente il Consiglio ecclesiastico thailandese ha incoraggiato i templi nazionali a ordinare dei disoccupati, nella speranza che il percorso spirituale prevalga sul temuto spreco di tempo ed energie nella noia di una vita senza lavoro. Quanto a Johnny, l'ex capellone tutto lustrini di Singapore, lui non si annoiava di certo: ma ora che è un monaco, pare rinato.

13 gennaio 2010
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