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Due parole così, tanto per «sokalizzare»

di Armando Massarenti

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14 marzo 2010


In attesa di avere tra le mani il suo libro in uscita per Oxford University Press, Beyond the Hoax, oltre la beffa, nel quale il fisico americano Alan Sokal promette di svolgere una serie di riflessioni "in positivo" su fisica, matematica e filosofia, è il caso di ricordare in che cosa la famosa beffa consistesse. Nei dizionari online il neologismo "sokalize" è così definito: «To write or speak deliberate nonsense disguised as profundity by use of obfuscating academic jargon». Chiaro? È proprio ciò che fece Sokal. Spedì, nel lontano 1994, alla rivista americana di Cultural Studies «Social Text» un saggio «generosamente condito di assurdità», ma in linea con lo stile post-strutturalista e decostruttivista caro ai curatori della rivista, intitolato «Valicando i confini: verso un'ermeneutica trasformativa della gravità quantistica», che propugnava una scienza post-moderna, femminista e anticolonialista, dimostrando che i settori più avanzati della fisica confermano tesi filosofiche di autori come Lacan, Lyotard, Kristeva. L'articolo fu molto apprezzato e pubblicato nel 1996 da «Social Text». Che si trattasse di una burla è stato lo stesso Sokal a svelarlo su «Lingua franca», con un articolo intitolato «L'esperimento di un fisico con i Cultural Studies» nel quale spiegò che non intendeva solo difendere l'oggettività della scienza, ma – da uomo di sinistra – mostrare anche quanto controproducenti, socialmente e culturalmente, potessero diventare il relativismo e il soggettivismo impliciti nella prassi e nei dogmi di molti suoi amici progressisti.

La beffa ha avuto i suoi imitatori. Uno spirito simile si trova nel testo di David Forster Wallace «Che esagerazione», un esecizio di vuoto stile accademico in difesa del filosofo H.L. Hix. Un gruppo di studenti del Mit ha creato addirittura un software (SCIgen, lo si trova in rete) che genera automaticamente degli articoli senza senso ma che rispettano i crismi delle pubblicazioni scientifiche, mettendo a segno discreti colpi, e permettendo di smascherare altri congressi e riviste poco attenti e rigorosi. Tutto ciò però forse può avere un risvolto inaspettato. Leggo online di un tizio che scrive: «I don't really like this film, but to get a passing grade I'm going to sokalize an essay on it». Fino a che punto tutti noi possiamo finire vittime di processi di sokalizzazione? Il post-moderno, ormai fuori moda e sconfitto dallo stesso Sokal, non può prendersi proprio così, in suo nome, una inquietante rivincita?

14 marzo 2010
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