Sono giorni in cui può succedere tutto e il contrario di tutto. Il 16 ottobre 1922 Mussolini convoca a Milano Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi, ai quali affida l'incarico di organizzare militarmente una marcia su Roma. Obiettivo: forzare la mano al re per indurlo a consegnare il governo ai fascisti. I quadrumviri si mettono al lavoro. Il 24, quattro giorni prima della marcia prevista per il 28, si tiene a Napoli una grande adunata di camicie nere, la prova generale. Mussolini è netto: "O ci danno il governo o ce lo prendiamo calando a Roma". Il piano, nella sua semplicità, è pronto: quartier generale a Perugia, tre colonne, guidate da Perrone Compagna, Bottai e Igliori, circa 20mila uomini radunati a Santa Marinella, Tivoli, Monterotondo e sul Volturno. Destinazione Roma. Occupazione degli edifici pubblici nelle principali città, ultimatum al governo Facta, caduta della capitale, Mussolini capo del governo. Tutto in successione, come un domino.
Il re temporeggia
Le minacce di Mussolini mettono Roma sotto pressione. Il re, che il 27 è a caccia nei boschi di San Rossore, rientra alla sera nella capitale. Le prime squadre fasciste sono in marcia verso Roma e, con la complicità di prefetti e sindaci, bloccano uffici pubblici e ferrovie. Capo del governo è Facta, un uomo di cui Mussolini dice: "Quando lo vedo mi viene voglia di tirargli i baffi". Vittorio Emanuele III è l'ago della bilancia: tocca a lui decidere. Il governo approva, alle 6 del mattino del 28, lo stato d'assedio. Alle 8 e 30 il re si rifiuta di controfirmarlo. "Dopo lo stato d'assedio - dice - non c'è che la guerra civile". Facta si dimette. Gli squadristi avanzano. Mussolini, a Milano, attende gli eventi. Sta giocando una partita a poker: non sa se ha in mano le carte migliori, ma conosce alla perfezione l'arte del bluff.
Il ricatto
Le ore sono concitate. Si parla di un gabinetto Salandra ma Mussolini non ci sta. Ha paura del vecchio Giolitti ma non lo troverà sulla sua strada. Il re ha deciso: non vuole assumersi la responsabilità di un bagno di sangue, teme uno stravolgimento delle cose che gli costi l'abdicazione, non è certo di una tenuta assoluta dell'esercito. Ritiene che associare il fascismo al governo per vie legali sia la soluzione migliore. Sa che i "marciatori" che premono sulla capitale sono male in arnese, armati di fucili da caccia, con divise fantasiose e una vitalità popolaresca. Ma non vuole correre rischi e sblocca la questione. Il 29 a mezzogiorno Mussolini viene convocato a Roma per la designazione a presidente del consiglio.
La vittoria di Mussolini
Il 30 il capo del fascismo è a Roma, si presenta in camicia nera al re, che gli conferma l'incarico. E' lui il vincitore. Da Milano ha vinto la marcia su Roma senza affondare i colpi. Ha affrontato l'esercito con una pistola scarica e ha conquistato il potere con un'abile manovra politica, una crescente pressione psicologica e grazie all'estrema debolezza dello Stato liberale. I suoi squadristi sciamano nella capitale in baldoria e confusione sotto una sgradevole pioggia d'ottobre. Il 31 le camicie nere sfilano per sei ore davanti al Quirinale, poi Mussolini ordina l'operazione di sgombero. Formerà (per ora) un governo di coalizione. Ha 39 anni e un passato oscuro. Sta per diventare il padrone d'Italia.